Il documento sulla Divina rivelazione, approvato il 18 novembre 19965, ha avuto una lunga gestazione, iniziata fin dall’estate del 1959. Il testo, votato nella 155a congregazione generale del 29 ottobre 1965, è il terzo schema elaborato da una commissione di teologi e biblisti. Questi sono gli esiti della votazione finale sul testo della costituzione sulla Divina Rivelazione: su 2350 votanti, 2344 placet; 6 non placet.
1. Punti cruciali della Dei Verbum
Il primo punto critico e fondamentale, è la definizione del rapporto tra Scrittura e Tradizione nei confronti della divina rivelazione. Grazie alla categoria della “parola di Dio”, si supera la contrapposizione secolare tra Cattolici – sostenitori del ruolo della Tradizione – e Protestanti, che affermano il principio del sola Scriptura: «La sacra tradizione e la sacra Scrittura sono dunque strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Ambedue, infatti, scaturendo dalla stessa divina sorgente, formano in un certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti la sacra Scrittura è parola di Dio in questo è messa per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito santo; invece la sacra tradizione trasmette integralmente la parola di Dio, affidata da Cristo Signore e dallo Spirito santo agli apostoli, ai loro successori, affinché questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano». La formula finale, aggiunta nel testo definitivo, rappresenta un compromesso, che riflette il difficile equilibrio tra la fedeltà al passato e l’apertura al nuovo: «In questo modo la Chiesa attinge la sua certezza su tutte le cose rivelate non solo dalla sacra scrittura» (Dei Verbum 9).
Un altro punto cruciale, che risente del peso di un lungo dibattito, fatto di malintesi e condanne, è quello dell’inerranza o verità della Bibbia, in rapporto alla sua divina ispirazione. In questo caso è interessante notare la progressiva trasformazione del testo dal primo schema a quello definitivamente approvato. Nello schema del 1963 con le espressioni tradizionali del Magistero si dice che «Dio è l’autore principale di tutta la Scrittura che perciò essa è tutta divinamente ispirata e quindi immune da ogni errore». Nel secondo schema si pone maggiormente in risalto il rapporto tra l’azione di Dio e l’autore umano ispirato, per cui si deve ritenere che «i libri della Scrittura in tutte le loro parti insegnano la verità senza errore». Il termine latino veritatem viene ripreso e precisato nel terzo schema con l’aggiunta dell’aggettivo salutarem. Infine si arriva alla formulazione del testo approvato: «Poiché dunque tutto ciò che egli autori ispirati, cioè gli agiografi, asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito santo, si deve professare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio in vista della nostra salvezza, quam Deus nostrae salutis causā, volle messa per iscritto nelle sacre lettere» (Dei Verbum 11). Questa è la posizione di Galilei Galilei nella lettera copernicana del 1616, dove afferma che la Bibbia non ci dice “come va il cielo, ma come si va in cielo”.
Altri punti meno cruciali, ma altrettanto fecondi per lo sviluppo degli studi biblici e la lettura della Bibbia, sono quelli relativi all’interpretazione della sacra Scrittura (Dei Verbum 12) e al carattere storico dei Vangeli (Dei Verbum 19). Nella parte finale del documento sulla Divina rivelazione si affronta la questione del ruolo dell’esegesi biblica nella vita della Chiesa e della teologia. Riguardo al primo punto il testo conciliare invita gli esegeti cattolici allo studio e alla spiegazione della Bibbia «in modo che il più gran numero possibile di ministri della divina parola possano offrire con frutto al popolo di Dio l’alimento delle scritture» (Dei Verbum 23). Per quanto riguarda il rapporto tra teologia e scrittura, in primo luogo si afferma che la sacra teologia si fonda sulla parola di Dio scritta, insieme con la sacra tradizione. Con un’espressione di Leone XIII e di Benedetto XV, si dice che la Sacra Scrittura deve essere “come l’anima della teologia”. Infine si riafferma l’orientamento pastorale della lettura della Bibbia, in quanto la predicazione, la catechesi e tutta l’istruzione cristiana si alimentano dalla parola della Scrittura (Dei Verbum 24).
2. Frutti e sfide della Dei Verbum
Il primo frutto della Dei Verbum è la presa di coscienza della Chiesa cattolica della centralità e importanza della Parola di Dio, attestata nella Bibbia. I fedeli, grazie al ciclo triennale delle letture della Messa domenicale, hanno la possibilità di ascoltare la Parola di Dio proclamata nella celebrazione. Per una “iniziazione” alla lettura della Bibbia, i catechisti e gli operatori pastorali, hanno a disposizione i testi dei Catechismi, preparati dall’Ufficio Catechistico Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), sulla base del principio affermato nel Documento base del 1971: “testo della catechesi è la Bibbia”. Alcuni cristiani hanno riscoperto la Lectio divina o il metodo più semplice della “Lettura orante” della Bibbia.
In Italia il contatto diretto con la Bibbia è praticato da alcune élites. Questo dipende anche dal contesto socio-culturale proprio dell’ambiente italiano, dove c’è una certa disaffezione per la Lettera in genere. Inoltre, in una società dove predominano il linguaggio e la comunicazione mass-mediale rapida, semplificata ed effimera, per immagini e emozioni, la lettura di un testo complesso com’è la Bibbia, è una sfida. Gli interessi delle persone sono centrati sul presente immediato, senza storia e senza futuro. D’altra parte la Bibbia è un libro che rimanda a un passato lontano e presuppone l’orizzonte della fede in Dio e della responsabilità.
Accanto a queste difficoltà e ostacoli per un contatto diretto con la Bibbia, nel contesto attuale vi sono anche opportunità per una lettura feconda della Bibbia. Il nuovo e diffuso interesse per la tutela della “terra” e dell’habitat vitale, non solo umano, trova uno stimolo nel contatto diretto con i testi della Bibbia. Nella cultura odierna si è più attenti alla concretezza dell’esperienza fisica e corporea degli esseri umani. Anche questa dimensione culturale e spirituale trova un incentivo nella frequentazione della Bibbia. Lo stesso vale per il ruolo e valore delle relazioni umane e delle emozioni, che contrassegnano i racconti biblici. Nel confronto con il testo della Scrittura il lettore riscopre il valore della persona umana. La dialettica paradossale dell’agire di Dio, sfida la libertà e la responsabilità dell’essere umano. Non è un fatto casuale che le pagine della Bibbia hanno ispirato molte opere d’arte dall’iconografia alla pittura, dalla musica alla letteratura.
Rinaldo Fabris
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