Dio vive nella città

«La fede ci insegna che Dio vive nella città, in mezzo alle sue gioie, ai suoi desideri e alle sue speranze, come anche nei suoi dolori e nelle sue sofferenze». Queste parole, che fanno eco alle magnifiche ed illuminanti parole con le quali i Padri del Concilio Vaticano II hanno aperto la costituzione pastorale Gaudium et spes, sono tratte dal “documento di Aparecida”, il documento elaborato dalla V assemblea dell’episcopato latinoamericano tenutasi nel 2007 per l’appunto ad Aparecida, nello stato di San Paolo in Brasile.

Papa Francesco, in una conferenza tenuta il 25 agosto 2011 quando era ancora vescovo di Buenos Aires, se ne servì per introdurre alcune immagini del vangelo. Con l’immediatezza e la simpatia che abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare in questi mesi, Bergoglio diceva: «Le immagini del vangelo che più mi piacciono sono quelle che mostrano ciò che Gesù suscita nella gente quando la incontra per le strade. L’immagine di Zaccheo: questi venuto a sapere che Gesù ha fatto ingresso nella sua città, sente risvegliarsi il desiderio di vederlo e sale in fretta sull’albero. La fede farà sì che Zaccheo smetta di essere un “traditore”, al servizio di se stesso e dell’Impero, e divenga cittadino di Gerico, stabilendo relazioni di giustizia e di solidarietà con i suoi concittadini. L’immagine di Bartimeo: quando il Signore gli concede la grazia che desidera – “Signore, fa’ che io veda” –, lo segue per la via. Per fede Bartimeo smette di essere un emarginato ai bordi della strada e si trasforma in protagonista della sua stessa storia, in cammino con Gesù e con la gente che lo seguiva. L’immagine dell’emoroissa: la donna tocca il mantello di Gesù in mezzo a una folla che lo stringeva da ogni lato e attrae il suo sguardo pieno di rispetto e di tenerezza. Attraverso la fede l’emoroissa viene a incorporarsi in una società che discrimina la gente per via di alcune infermità considerate impure» (Dio nella città, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013, pp. 11-12).

Invito ciascuno a ripercorrere queste tre “immagini”, rileggendo e meditando le pagine del Vangelo che ce le consegnano: Zaccheo in Lc 19,1-10, Bartimeo in Mc 10,46-52 e l’emoroissa in Mc 5,25-34.

Da parte mia desidero soffermarmi brevemente solo sulla terza di queste immagini: l’immagine di una donna che aveva perdite di sangue da dodici anni e avverte il desiderio di “intercettare” Gesù che attraversa la sua città.

Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”. E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: “Chi ha toccato le mie vesti?”. I suoi discepoli gli dissero: “Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?””. Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”.
 

L’evangelista Marco “incornicia” significativamente il racconto di questo incontro all’interno del racconto della resurrezione della figlia di Giairo (cf. Mc 5,21-40): mentre Gesù si reca alla casa di Giairo, la donna si tuffa nella folla, tocca il mantello e viene guarita.

Anche oggi Gesù non si stanca di attraversare le nostra città e di abitarle per venire a portare la resurrezione nelle nostre case e nelle nostre vite. Sì, perché abbiamo bisogno che la forza del suo amore e del suo Spirito vinca la morte dell’individualismo, dell’esclusione, della violenza che a volte segna il nostro territorio. Gesù attraversa le nostre città e non si stanca di continuare a fare ciò che fece duemila anni fa per le strade della Galilea: “Passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (At 10.39).

La folla che riempie le nostre città e le nostre piazze non è quindi, come a volte abbiamo la tentazione di pensare, un ostacolo al nostro incontro con Gesù, ma ne diventa il luogo vitale perché Gesù ha scelto di abitare in mezzo alle gioie, ai desideri, alle speranze, ai dolori e alle sofferenze degli uomini.

Sembrava impossibile per quella donna toccare Gesù e invece ci riuscì e fu sanata. Come, d’altra parte, sembrava impossibile per i discepoli che Gesù riuscisse ad individuare, schiacciato dalla folla, chi l’avesse toccato. E invece Gesù riesce, in maniera inaspettata, ad avere uno sguardo attento alla storia particolare di quella donna. Come ancora oggi riesce a volgere il suo sguardo pieno di rispetto e di tenerezza alle storie di ciascuno di noi.

Su quella strada si incontrarono i due “impossibile” che abitavano il cuore della donna e quello dei discepoli. Ma Gesù vince sia l’uno che l’altro.

Anche il nostro cuore è abitato da tanti “impossibile”: quante volte ci ripetiamo che è impossibile dedicare il tempo e lo spazio che sarebbero necessari a cercare l’incontro con Gesù a causa della folla che ci schiaccia e degli impegni che popolano le nostre agende? Quante volte pensiamo che sia davvero impossibile rivolgere la dovuta e lodevole attenzione a ciascuno, rispettandone le attese, perché sono tanti, se non troppi, gli occhi e le mani alle quali dobbiamo rivolgere i nostri occhi e le nostre mani? Chiediamo quindi a Gesù di aiutarci a dare un grande calcio all’ “im-“ di “im-possibile” che oscura i nostri passi e di farci abitare le nostre città raccogliendo la vocazione che, attraverso le attese e le sofferenze del nostro territorio, il Signore vuole affidarci.

Ma soprattutto prendiamoci tutto il tempo necessario per rispondere all’interrogativo suggeritoci da Papa Francesco: cosa suscita Gesù nella nostra vita quando ci incontra per le strade della nostra città?

Ancora una volta possono essere le parole del documento di Aparecida, citato nell’apertura di queste pagine, ad arricchire la nostra riflessione e a sostenere il nostro impegno nella città: «La fede ci insegna che Dio vive nella città, in mezzo alla sue gioie, ai suoi desideri e alle sue speranze. Le ombre che segnano la quotidianità delle città, la violenza, la povertà, l’individualismo e l’esclusione, non possono impedirci di cercare e di contemplare il Dio della vita anche negli ambienti urbani. Le città sono luoghi di libertà e di opportunità. In esse le persone hanno la possibilità di conoscere altre persone, in interagire e di vivere con esse. Nelle città è possibile sperimentare vincoli di fraternità, solidarietà e universalità. In esse l’essere umano è chiamato a camminare sempre più incontro all’altro, a convivere con il diverso, ad accettarlo e ad essere accettato da lui» (n. 514)

Jean Paul Lieggi Assistente Route nazionale 2014

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