Pattuglia nazionale E/G
«Quarta fase: realizzazione. Terminato il progetto e divisi i posti d’azione abbiamo subito iniziato a lavorare. Tutti hanno dato il loro contributo…»
Tutti? Jack stava sempre al cell, i novizi non sanno fare la “o” con il bicchiere…
«Primo step: autofinanziamento. Fillo e Luca hanno costruito dei portavasi…»
Io… e basta! Luca ha bidonato perché fin dall’inizio non ne voleva sapere di lavorare per quei bambini. Ti ricordi che razza di pregiudizi aveva sui profughi?
Però quando abbiamo venduto i fiori è venuto, e anche alla festa…
Certo, quando c’è da divertirsi… Quando abbiamo dato i regali ai bambini c’erano tutti. Però, a fare la spesa, sempre solo io e te!
«Secondo step: preparazione dei regali. Rovistando nelle nostre soffitte e sfruttando i soldi dell’autofinanziamento…»
… più quelli che abbiamo dovuto aggiungere per colpa di… una cassa intera di primule rovesciata! Li avrei ammazzati i novizi, loro e il pallone!
Ma dai, è stato un incidente! Non era nemmeno il caso di litigare in quel modo!
Ha fatto schifo questa impresa, o almeno la squadriglia. La prossima volta col cavolo che mi impegno tanto!
Scene di vita di squadriglia: progetti che si scontrano con i limiti e le difficoltà personali; con le differenze nell’impegno, nel “meglio” che ciascuno può e vuole mettere in campo; con capacità diverse (o incapacità) di cogliere il buono, valorizzare il positivo; con la tentazione di cercare colpevoli delle proprie frustrazioni. I conflitti nascono, inevitabili.
Se l’impresa è una sfida vera può generare ostacoli, mettere in difficoltà, esporre limiti e pigrizie personali, scatenare meccanismi di contrasto e occasioni di conflitto. In che modo allora riesce a essere un potente strumento educativo, anche di educazione alla pace?
Le dinamiche reali, spesso, sono proprio così… non idilliache. Tuttavia nella concretezza delle difficoltà si può cogliere l’opportunità educativa. Aiutare a leggere la vita vera, le esperienze vissute, è l’ancora più robusta per consolidare un messaggio e un passaggio di crescita.
Possiamo aiutarli a cercare la verità nel leggere se stessi: misurare l’impegno profuso rispetto alle proprie potenzialità, la positività di esso, la fatica che ha prodotto e il valore di averla superata, l’onestà di riconoscere quando questo non è avvenuto. Guidarli nell’osservare gli altri con gli occhi del fratello che sa leggere le stesse fatiche, sa accostarsi e sostenere, si esercita nel non giudicare e nell’arte di perdonare.
Possiamo aiutarli a esprimere i propri desideri e difficoltà come base fondamentale per il dialogo; a confrontarsi sempre, prima che i non detti diventino muri; a osservare cosa significhi mediare, trovare un compromesso reale e gli ostacoli generati dalla sua mancanza.
Possiamo proporre un senso di giustizia che non è, banalmente, una legge uguale per tutti, anzi, a volte consiste proprio nel saper declinare un’unica legge in tante diverse e preziose individualità.
E intanto possiamo indicare una direzione in cui guardare, fuori dai loro confini, proiettata verso altri, verso un territorio che possiamo migliorare, verso bisogni che possiamo soddisfare. Alimentare il loro sogno di bellezza, realizzazione di sé legandoli ai valori che stanno nella Legge e nella Promessa, e aiutarli a declinare questi grandi ideali nei piccoli gesti, nelle relazioni, dove la pace nasce e si consolida davvero. Accompagnarli a leggere il Vangelo come un libro che, semplicemente, racconta tutto questo, di come sia giusto, buono e anche possibile. È infatti nelle esperienze vissute che il capo, camminando accanto ai ragazzi, ascoltandoli e condividendo le proprie esperienze, può alimentare una riflessione vera e solida che tocca le corde delle scelte personali attraverso cui si cresce.
«Terzo step: “festa dei popoli”. Abbiamo invitato tutta la parrocchia, assieme alle famiglie fuggite dalla guerra. Ognuno ha portato dolci tipici della sua terra.
Abbiamo fatto giochi proposti dai presenti delle varie nazionalità e ci hanno insegnato una loro danza popolare bellissima. Abbiamo regalato ai bambini giochi realizzati da noi e recuperati tra quelli che non usiamo più».
Comunque forse avevano ragione i capi: “andate avanti, state facendo una cosa stupenda!”.
Ma ti ricordi gli occhi di quei bambini e le storie che ci hanno raccontato? E come ci hanno ringraziato le mamme? Io da quella sera, ti giuro, ogni volta che mi viene da lamentarmi o mi arrabbio per una stupidaggine mi torna in mente il racconto di Iryna e Andriy.
Non serve l’impresa perfetta, sempre che esista. Serve star loro accanto, saper vivere per primi i valori della pace, del dialogo, della giustizia e dell’impegno, saperli condividere testimoniando la vita buona e felice che possono generare.
[Foto Roma 100]
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