Quello del capo scout è un lavoro? Cominciamo col definire “lavoro”. Trattasi, secondo il dizionario, di “occupazione specifica che prevede una retribuzione ed è fonte di sostentamento”. Forse così il discorso è un po’ riduttivo. Aggiungiamo allora che il lavoro è anche “l’esercizio di un mestiere o di una professione”, che presuppone perciò una particolare formazione e che prevede la possibilità di salire, col tempo, quella particolare scala che chiamiamo “carriera”.
“Il lavoro del capo è simile al gioco del golf, o al lavoro del falciatore, o del pescatore di lenza. Se lo si fa ‘di forza’ non si arriva a niente, o quantomeno a ciò che si può ottenere con un movimento sciolto e leggero”. Troviamo queste frasi tra i Suggerimenti per l’educatore scout di B.-P. Mi fanno venire in mente Alex Langer che proponeva di sostituire il motto olimpico del barone de Coubertin – citius, altius, fortius (più veloci, più in alto, con più forza) – con le parole “lentius, profundus, soavius”: “più lenti invece che più veloci, più in profondità, invece che più in alto e più dolcemente o più soavemente invece che più forte, con più energia, con più muscoli, insomma più roboanti. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale – diceva Langer –, però forse si ha il fiato più lungo”.
Applichiamo le stesse riflessioni al “lavoro del capo” e avremo qualche prima risposta. L’educatore scout non è un centometrista né un lanciatore di pesi, ma uno che cammina passo passo, “con un movimento sciolto e leggero”. Sa che l’unico scopo meritevole della sua fatica sono i suoi ragazzi. In altri termini. Il capo scout non è uno che lavora perché deve (per mantenersi, ad esempio) o per pura passione (come quelli che diventano tutt’uno col proprio lavoro…).
Il capo scout ama i suoi ragazzi, molto più che il suo lavoro. I ragazzi non sono i suoi “utenti” e men che meno gli strumenti della propria “soddisfazione professionale”, ma compagni di strada, fratelli minori. “Può sperare in un vero successo come formatore … soltanto colui che sa essere il … ‘fratello maggiore’”, scrive B.-P. nel Manuale dei lupetti. Aggiunge: “L’ufficiale comandante non serve a nulla, ed il tipo ‘maestro di scuola’ è destinato al fallimento. Con il termine ‘fratello maggiore’, intendo una persona che si sappia mettere su un piano di fraternità con i suoi ragazzi, entrando egli stesso nei loro giochi e nelle loro risate…” senza per questo risultare “morbido e sdolcinato”, poiché “la fratellanza richiede fermezza e dirittura, se deve avere un valore durevole”.C’è chi fa il capo perché si diverte. Ottimo.
Purché sia in grado di continuare a voler bene ai suoi ragazzi anche il giorno (arriverà di sicuro) in cui la fatica prevarrà sul divertimento. Lo scopo del capo non è divertirsi. Tuttavia sì, gioia e serenità aiutano. Bisogna sapersi divertire anche nella fatica. Essere, dice B.-P., un “uomo-ragazzo”, cioè “vivere dentro di sé lo spirito del ragazzo” (Suggerimenti per l’educatore scout).Il lavoro, secondo la definizione iniziale, prevede che io faccia qualcosa (la prestazione professionale) in cambio di qualcos’altro (lo stipendio, la promozione, il prestigio). È la logica del do ut des.
Va benissimo in un rapporto lavorativo, ma nell’educazione scout (e non solo) nulla funziona se non nella dimensione del dono. Della gratuità. È vero che in fin dei conti i capi ricevono il centuplo rispetto a quello che danno, ma non è questo l’obiettivo del loro impegno. “Si è più beati nel dare che nel ricevere!”. Ce lo ricordava uno dei primi educatori itineranti, Paolo di Tarso, duemila anni fa (Atti 20,35).Il capo è uno che punta a fare carriera? La domanda farebbe sorridere se non ci fossero persone convinte che il capo scout, “per realizzarsi”, ha da seguire una specie di cursus honorum che va dall’aiuto al capo unità, dal capo lupetti al capoclan ed eventualmente al quadro di ogni ordine e grado. Il carrierismo è la negazione del servizio perché mette sempre al centro l’io rispetto al tu e al noi. “Fa strada ai tuoi ragazzi senza farti strada”, si potrebbe dire parafrasando don Lorenzo Milani.
Ne va della testimonianza. “L’atteggiamento del capo – scrive B.-P. in Scautismo per ragazzi – è della massima importanza, poiché i ragazzi modellano in gran parte il loro carattere sul suo. Egli ha perciò l’obbligo di considerare la sua posizione su un piano più ampio di quello puramente personale, e deve essere molto più spesso pronto a dimenticare i propri sentimenti per il bene comune”.Il capo è uno a cui piace comandare come fa il capufficio con i suoi sottoposti? “Qualunque sciocco può dare ordini, ma per avere successo deve essere un guidatore di uomini” (B.-P. in Alla scuola della Vita).
Il capo è una persona altamente competente? Forse sì, ma “una formazione scout riuscita è il risultato della qualità del capo, non della sua scienza pedagogica” (B.-P. in The Scouter).È uno che si limita ad applicare pedissequamente un libro di istruzioni? “I principi dello scautismo sono tutti volti nella direzione giusta, ma il successo della loro applicazione dipende dal capo e dal modo in cui egli li mette in pratica (B.-P. Suggerimenti per l’educatore scout).
Nel momento conclusivo di un Campo di Formazione Tirocinanti ho sentito dire queste parole: “Il buon capo è essenzialmente uno che vuole bene ai suoi ragazzi. Tutto il resto è solo una conseguenza. Per voler bene, il capo va a cercare tutte le cose di cui sa che i suoi ragazzi hanno bisogno. La prima cosa di cui i miei ragazzi hanno bisogno è: un capo che sia una persona libera, responsabile, significativa, in cammino sulla via del Bene”.Il capo scout è un cercatore di sentieri che portano al Bene e a Dio. Il capo scout Agesci è uno che indica una via percorrendo egli stesso quella via:- È la via cristiana (scelta cristiana), cioè la via del Bene e dell’Amore; la via della Giustizia, della Verità, della Bellezza. Una via che chiamiamo “cristiana” perché ci viene proposta ed è praticata da Dio stesso.Lo stile del capo scout infatti è lo stesso di Gesù: farsi fratello maggiore; camminare insieme; fare fino in fondo ciò che è giusto; creare comunità; condividere i propri doni e la propria vita. Essere pescatori di uomini (cioè persone che danno vita); essere testimoni (cioè persone che mettono insieme pensiero e azione); e tante cose ancora tutte da scoprire.- È la via dell’impegno per il bene comune (scelta politica). Cioè è quella via che porta fuori dall’individualismo.
È la via che da individui concentrati sul nostro ombelico ci rende persone in relazione con gli altri. Persone consapevoli che le nostre scelte hanno senso e danno senso alla nostra vita se sono fatte per gli altri.- È per questo la via del servizio educativo (scelta scout). Essere testimoni delle cose in cui si crede è servizio. Il capo scout Agesci risponde alla chiamata a credere nel Bene e a costruire il Bene comune impegnandosi nell’educazione e in particolare nell’educazione secondo il metodo scout.
Queste vie non sono le strade di una città ideale, ma sono le vie del nostro quartiere, della nostra città, della nostra parrocchia, della nostra chiesa, della nostra comunità capi, della nostra famiglia, del nostro gruppo, della nostra vita.
[Bill (Paolo) Valente]
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