I Testimoni della Porta Accanto

di Angelo Giordano

@angelorgiordano

Come ti accorgi di avere accanto un Testimone? Sì, una di quelle persone che siamo abituati a vedere sui media mainstream, sulla stampa associativa, una di quelle persone su cui ci fai la catechesi, una di quelle persone che racconti ai ragazzi perché loro (mica tu) prendano esempio. È facile: non te ne accorgi. Testimoni con la T maiuscola stanno in TV o nelle storie dei santi, partono con coraggio per Paesi lontani, lasciano tutto e seguono Gesù. Loro lo seguono da vicino, tu, invece, da lontano che poi, diciamocelo, basta intravederlo ogni tanto stando comodi ché avvicinarsi troppo può anche essere pericoloso. E di questa cosa sei così convinto che ti può anche capitare di entrarci in casa e non riconoscerli, ‘sti Testimoni che ti stanno ospitando.

Vabbè, non sono mica il primo eh, qualcuno ci ha cenato con Gesù senza riconoscerlo, non mi sento troppo in colpa. E poi la testimonianza cristiana è roba seria, insomma riguarda chi combatte la mafia, chi aiuta le donne vittime di tutte le violenze possibili, chi difende gli ultimi del mondo, chi ci lascia la pelle per salvare il pianeta.

Lo so, anche tutti i capi di tutte le Comunità capi sono testimoni, no? Ma con buon senso, per lo più. Sarà poi vera la testimonianza di chi ti accoglie in casa sua, ti ascolta, ti viene a visitare quando sei depresso, ti trascina nel suo giardino per un aperitivo in un giorno di festa quando sei solo e la tua famiglia è lontana? Sarà testimonianza la premura di una donna che smonta dal turno di notte per precipitarsi in uscita mentre tu ti senti così figo nell’essere lì fresco e riposato dopo 8 ore di sonno tranquille perché pensi: «È domenica mattina e “faccio scout”, sono davvero nella squadra di Gesù?». Magari un testimone con la t minuscola, ma sempre testimone ti senti. Quindi, te ne stai con il naso in su, a guardare lontano, a guardare in alto, a scrutare in una eterna ricerca di ciò che è al di fuori della tua portata. Più lontano è, meglio è.

Dico a te, capo, ma parlo a me stesso. Perché quando questi due amici mi hanno chiamato per raccontarmi che, dopo una lunga serie di incredibili coincidenze, si sono trovati genitori affidatari di un bambino con sindrome di Down lasciato in ospedale dopo il parto, me ne sono andato in crisi.

Non una crisi eclatante, da notti in bianco. La notte in bianco l’hanno passata loro, toccati dalla Grazia, spaventati dall’immensità del passo che sentivano naturale, dalla responsabilità che si assumono come famiglia, non come singoli, come piccola Chiesa che accoglie per sempre. Allora mi ricordo di tutti i “no” che ho pronunciato in questi ultimi tempi. Mi vengono in mente gli “eccomi” mancati. Cammino accanto ai miei amici e ho quasi paura di guardarli e scoprirgli in volto una bellezza che non avevo mai riconosciuto. Non mi interessano le loro motivazioni, perché appartengono comunque alle infinite sfumature dell’umano. Mi interessano le loro azioni. Mi sconvolge essere sfiorato da uno di quegli atti d’Amore di cui ho sempre letto e che mai avevo incontrato prima.

E così finisce la storia: la redazione di Proposta educativa si è detta che, per questo numero, bisognava trovare una figura concreta per aiutare i nostri poveri 30.000 capi testimoni a immedesimarsi. I candidati non mancano di certo, c’è solo l’imbarazzo della scelta, per fortuna: come pensate che possa andare avanti il mondo senza quel mucchio di persone che il Vangelo lo vive e non si limita a leggerlo? Eppure, un respiro prima, mi lambiccavo il cervello per scegliere tra le varie opzioni, un respiro dopo ho capito che non dovevo cercare lontano, tra i missionari, gli operatori di pace, tra i beati: lì dove io non andrò mai. Ma dove sono già stato. In una famiglia normale, con bambini, problemi, lavori difficili, tavole imbandite, sorrisi, vino sincero dell’Emilia-Romagna e salsiccia lucana. Dovevo cercare nell’amore più grande, quello che fa paura ma che poi riscalda e dà colore a questo terribile inverno. Eccoli i nostri Testimoni, con la promessa cucita sulla camicia e un cuoricino in più tra le loro braccia.

[Foto di Margherita Ganzerli]

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