Fidarsi di ciò che può fiorire

di Valentina Enea

Davanti a noi c’è un’occasione unica, che chiede responsabilità e un nuovo desiderio di impegno comune.

Ne parliamo con Chiara Giaccardi, sociologa e promotrice del concetto di generatività.

Innanzitutto definiamo il concetto di Generatività. Cosa ha da dire a noi educatori?
«L’educazione è una grande opera di generatività. La generatività si esprime in tre momenti: il momento di dare inizio a qualcosa, desiderare e mettere al mondo, il momento di prendersi cura di ciò che si è fatto iniziare e il momento di lasciare andare, che non è abbandonare ma è  “autorizzare”, ovvero rendere autore. La libertà generativa insegue una speranza e sta in relazione con la realtà, con l’altro da sé. Il paradigma della generatività si manifesta nell’arte, nel lavoro cooperativo, nel volontariato, in certa imprenditorialità, nell’artigianato. Davanti a noi c’è un’occasione unica: per uscire dalla crisi causata dalla pandemia servono responsabilità personale e un nuovo desiderio di impegno comune. Nessuno può farcela da solo». 

Oggi con quali occhi possiamo guardare al futuro?
«Il lockdown ha messo in luce che ciò che noi diamo per scontato e consideriamo immodificabile, in realtà può essere modificato. E non con lunghi processi ma da un giorno all’altro, con la decisione responsabile di tutti. Credo che sia stato veramente una grandissima lezione: il fatto che ciascuno, per il bene collettivo, possa rinunciare anche a cose importanti come la mobilità e le relazioni, significa che siamo capaci di cambiare ciò che sembra immodificabile».

La società a volte spinge a pensare che ciascuno di noi sia un’isola, che a ciascuno importi solo di se stesso e del proprio interesse personale. È così?
«Questo tempo ci ha mostrato che le esperienze sono molto più ricche, articolate ed entusiasmanti di come ce le hanno proposte fino ad adesso. L’aver provato come l’esistenza sia sospesa tra la vita e la morte, ci ha rivelato qualcosa di noi stessi che magari ci eravamo dimenticati o pensavamo appartenesse al passato. È una vera rivelazione e ce la dobbiamo tenere cara. A questo proposito vale la pena di approfondire Il tema dell’“autorizzazione”. Per essere generativi è molto importante il momento del lasciare andare, perché non è un abbandonare al proprio destino né un paternalistico permesso di fare “come ti dico io”. Ma è un atteggiamento di fiducia, di consegna, di responsabilità. A me piace molto una frase di Maria Zambrano, filosofa e poetessa, che dice “Le radici devono avere fiducia nei fiori”… se non c’è questa fiducia i fiori non fioriscono. Quindi nel paradigma della generatività autorizzare significa sollecitare le persone che abbiamo accompagnato a diventare autori della loro vita, a loro volta generativi. E cosa significa diventare autore? Prendersi cura di sé, degli altri ma anche del mondo, dentro una cornice di senso».

Essere generativi è una scelta…
«Sì. Non abbiamo mai il controllo della realtà, di quello che accade, ma siamo liberi, dentro queste situazioni non scelte, di agire. Ridurre il concetto di libertà a “fare quello che ci pare” sarebbe un sacrilegio. Come scriveva Hannah Arendt, la libertà di esseri umani si esercita in condizioni di non-sovranità. Credo che in questa emergenza sanitaria abbiamo sperimentato proprio questa libertà. È emersa l’idea che non conta solo la sopravvivenza personale ma c’è qualcosa che conta di più. E quindi questo ti porta a rischiare. La priorità sono altre: questo è un punto di non ritorno».

Sembra che il confinamento ci abbia suggerito anche un codice nuovo di prossimità…
«La dimensione antropologica dell’abbraccio e della consolazione hanno subito una restrizione mai vista. Ma è emersa una grande creatività nell’inventare nuovi modi di stare vicini. Pensiamo, ad esempio, agli appuntamenti sul balcone. Anche questa è una lezione: il limite non va abbattuto ma va riconosciuto, utilizzato come trampolino per pensare cose nuove. Abbiamo recuperato una dimensione di umanità che si stava perdendo».

Qualche ombra sul futuro resta. Come si può essere generativi nell’incertezza?
«Il periodo trascorso ci ha portato a trovare soluzioni creative, diverse, che altrimenti, fermi alle nostre routine individualistiche, non avremmo trovato. Il confinamento ci ha spinti a trascendere il limite del privato verso gli altri. Ed è da qui che dobbiamo ripartire. Insieme. Dal prenderci cura di noi, degli altri, del mondo che ci circonda. Una bussola irrinunciabile mi sembra sia l’enciclica Laudato sì di papa Francesco, e la voglia di ecologia integrale: cioè educare a una relazione che non sia di sfruttamento e di strumentalità, di consumo, di dissipazione, ma alla relazione con il mondo, con le persone e con se stessi».

Qual è ora la scommessa per noi educatori? 

«Educare significa far crescere, aiutare a sviluppare ciò che ha senso nelle nostre vite e saper riconoscere quello che non va, fare critica. Adesso sappiamo riconoscere con più chiarezza ciò che ha senso, perché abbiamo visto che di molte cose si può fare a meno. E forse erano proprio le cose che ci rendevano meno liberi. La capacità di critica è fondamentale. Educare vuol dire poi abitare la tensione tra la memoria e l’orizzonte, tra la gratitudine per ciò che si riceve e si è ricevuto, e il futuro, le attese… Memoria e futuro stanno sempre in tensione perché senza memoria ci aspetta un futuro violento, però una memoria senza futuro equivale semplicemente a incensare delle ceneri. La sfida dell’educare oggi è abitare questa tensione. È fondamentale non dimenticarci quello che abbiamo vissuto e imparato, e usarlo come orizzonte prospettico per immaginare un futuro generativo, in cui riusciremo a mettere al mondo delle cose nuove, a prendercene cura e poi ad affidarle ad altri, che ne saranno custodi e a loro volta autori».
L’augurio per ciascuno di noi quindi è: siate generativi. Siate radici, siate fiori. Abbiate fiducia.

Docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università Cattolica di Milano, fra gli altri incarichi Chiara Giaccardi dirige  il comitato tecnico scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla Famiglia e collabora con l’Ufficio comunicazioni sociali della CEI. Assieme al marito e sociologo Mauro Magatti ha lanciato il manifesto della generatività sociale (www.generativita.it).

Foto di Nicola Cavallotti

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