Fare rete una sfida

La nostra Associazione è stata da sempre orientata ad operare all’esterno attraverso dinamiche di rete, non solo per un sentire comune orientato al confronto e al dialogo, ma soprattutto per alcuni aspetti fondanti la sua stessa natura.

Basti pensare alla dimensione della comunità capi ed alle sue relazioni sul territorio, al metodo di branca R/S e allo sviluppo dell’esperienza del servizio, ed infine all’impegno politico espresso nel Patto Associativo.

Una comunità capi, per il compito affidatole di intervento su uno specifico luogo, è portata naturalmente ad avere incontri, più o meno strutturati, con soggetti esterni con i quali è chiamata a collaborare; dal consiglio pastorale a quello di quartiere, dalla scuola alla famiglia, il progetto educativo con le sue sfide ci impone di collaborare con questi soggetti per il raggiungimento dei nostri obiettivi: si creano quindi spontaneamente dei rapporti che hanno tutte le caratteristiche di una rete al cui centro vi è la comunità capi, anche se spesso non vi è nessuna formalizzazione degli stessi.

Altro aspetto da tenere presente è quello del servizio, che chiediamo di svolgere ai nostri ragazzi durante il loro percorso di crescita in branca R/S. Un aspetto non secondario del processo educativo viene rappresentato quindi dalla prospettiva che per “fare bene” devo impegnarmi e lo devo fare non solo con mi sta sempre accanto, ma rivolgendomi a situazioni “prossime” alle quali portare il mio contributo fattivo non casuale e non occasionale. In questo contesto si crea una dinamica, non solo di ricerca di esperienze che fa scoprire nuove realtà, ma di necessità di relazioni chiare e stabili al fine di garantire ai rover e le scolte un effettiva maturazione: dove i nostri ragazzi vanno a fare servizio non sono “posti” scelti a caso, effetto della sensazione momentanea di qualcuno, ma sono frutto di scelte ponderate, fatte di discussioni e di comprensione dell’effettiva natura dell’altro, basate su rapporti definiti con altri enti, con i quali nel tempo si affina o si chiude la relazione. Questo è ancora più chiaramente una rete: in maniera definita creiamo connessioni che ci fanno parte attiva di una struttura di rapporti formalizzati.

Infine, il bisogno che sentiamo di “lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato” e che si declina nei vari aspetti della scelta politica del Patto Associativo, ci fa dichiarare che la nostra Associazione “collabora con tutti coloro che mostrano di concordare sugli scopi da perseguire e sui mezzi da usare relativamente alla situazione in esame”. È evidente che nel momento in cui si voglia “produrre cambiamento culturale nella società” ci si renda conto che non si possa ottenere questo risultato da soli e che non sia i soli a volerlo, facendo così diventare indispensabile il cercare o cercare di creare una rete sulla quale appoggiarsi per “ottimizzare” lo sforzo.

Fatta questa opportuna premessa, risulta palese che nella nostra Associazione il discutere di rete e di fare rete è sempre stato argomento di dibattito, sia perché ci siamo interrogati su come e con chi essere più efficaci nel raggiungimento dei nostri obiettivi, sia perché questa nostra connaturata apertura al mondo, ha fatto sì che spesso siamo stati chiamati da altri a portare il nostro contributo in contesti eterodiretti: siamo stati così protagonisti o collaboratori più o meno fattivi di reti, assumendovene a volte anche il peso di prenderne la direzione e indirizzarne il cammino.

La domanda che ci si pone è se però tutto questo impegno, che comporta fatica e ulteriore sacrificio sia davvero efficace, se effettivamente tutto questo valga il prezzo ulteriore che richiede. Chiaramente a questa domanda ne è sottesa un’altra, ossia l’effettivo valore di una rete e la sua effettiva capacità di operare un cambiamento.

Voglio qui chiarire un personale convincimento:  credo che lavorare attraverso processi di rete, in determinati contesti, sia più efficace che non l’azione singolare.  Quando ci si pongono grandi obiettivi e si desidera davvero realizzarli, ci si rende conto che si ha bisogno del supporto di tutti coloro che ci possano essere d’aiuto al loro raggiungimento, inoltre nel momento in cui ci si decide di operare attraverso una progettualità formalizzata, si riesce a capire come e quando si ha bisogno di questo aiuto. È necessario, lavorare in rete e far parte di una rete.

Il problema, a mio avviso, è altrove: spero sia evidente che gestire fenomeni complessi e portare a compimento l’aspettativa di provocare cambiamento culturale, necessiti di uno sforzo che non può non essere che collettivo e che le risorse proficue a questo processo si possono trovare anche all’esterno. Quando siamo noi a farci promotori di questo tipo di dinamiche, chiaramente ne cogliamo subito il senso e l’efficacia, la questione emerge invece quando siamo chiamati da altri a far parte di processi nei quali il primo sforzo che dobbiamo fare è capire il senso della nostra partecipazione. Così come noi vogliamo operare un cambiamento, anche altre agenzie educative si pongono lo stesso traguardo e come noi cercano relazioni all’esterno e ci interpellano, perché ci percepiscono come propensi a questo tipo di contaminazione. Nasce così il bisogno di capire, dopo l’iniziale entusiasmo, il nostro ruolo effettivo e se il tipo di richieste che ci vengono poste, possono essere effettivamente da noi soddisfatte: è giusto rispondere alle sollecitazioni che ci provengono dall’esterno, ma è altrettanto giusto capire se noi siamo la risposta giusta.

Il primo fraintendimento a cui siamo andati incontro è stato quindi quello di pensare che si potesse creare una rete per affrontare qualsiasi cosa e che soprattutto noi potessimo essere presenti ovunque. Ci siamo trovati nella situazione di generalizzare il giudizio sulla rete perché ci siamo inseriti in contesti in cui non potevamo apportare alcun contributo, in cui gli sforzi fatti sono risultati inconsistenti, per il semplice fatto che non eravamo, in partenza, in grado di soddisfare appieno le richieste che ci venivano poste. La prima responsabilità che ci dobbiamo assumere, per essere efficaci è quella di capire se siamo adeguati e per “approfittare” dei vantaggi che derivano dal lavorare assieme è indispensabile capire, in via preliminare, se possiamo portare un contributo reale: fatto questo sarà chiara la percezione che l’ulteriore sforzo richiestoci, sarà ripagato dal successo ottenuto. Dobbiamo quindi imparare anche a dire no, un no motivato e spiegato, ma no. Capire questo è indispensabile per ritornare protagonisti delle reti di cui facciamo parte.

Il secondo aspetto da tenere presente è quello delle reali aspettative: la rete, per quanto detto, è sicuramente un strumento efficace, ma non è la soluzione a tutto. Per quanto possiamo riuscire a creare connessioni chiare e solide, resta indispensabile il lavoro che poi ogni singolo è chiamato a svolgere nel proprio contesto di riferimento. La rete, per la sua efficacia, si affida ai soggetti di cui è costituita, il suo territorio di intervento è quello di ogni singolo partecipante alla stessa, non ne ha un suo proprio. Non si può pensare che il semplice fatto di trovarsi assieme produca il “cambiamento” che si desidera, qualunque iniziativa scaturisca da questo processo è del tutto inefficace se i singoli non si fanno parte attiva. Ecco perché, soprattutto a livello regionale o nazionale, certe reti ci appaiono incomprensibili e sterili: il loro lavoro non si traduce in azione concreta che i singoli sono chiamati a mettere in pratica, il luogo della condivisione che dovrebbe essere il motore che permette a tutti di procedere più speditamente non viene mai messo in moto perché ci si aspetta che siano altri ad innescarlo.

Vorrei concludere ribandendo l’importanza di essere e far parte di una rete, imparando però a valutarne correttamente le motivazioni che ne hanno prodotto la creazione e ricordandosi sempre che senza l’impegno personale ogni cosa è destinata all’insuccesso. Se si è convinti di essere nel luogo giusto al momento giusto, allora si deve conseguentemente sentire l’urgenza di essere i protagonisti, questo è il nostro stile. In caso contrario, è bene rendersi conto che certe cose le si fanno semplicemente per sollevare la nostra coscienza e acquietare quel pungolo che ci sprona sempre a cercare di fare meglio, creando contesti che ci diano soltanto l’illusione, con poca fatica, di avere “una partecipazione attiva e responsabile alla gestione del bene comune”.

Filippo Panti

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Fonte:

Stare in questo tempo tra incroci di generazioni e rapporti di rete

atti del convegno di Bassano Romano (Viterbo)

18-20 ottobre 2002

a cura di Rosa Calò e Francesco Chiulli

edizioni scout agesci / nuova fiordaliso

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