Che l’impegno partitico non sia compatibile con quello associativo puzza di scusa per tenersi lontani dai guai
Irrinunciabile. Il Patto associativo definisce così la scelta Politica dei capi. “Ah, ma la Scelta Politica del Patto Associativo non vuol dire candidarsi e farsi eleggere in un Partito ad una carica istituzionale!” È vero, ma è anche vero che il capo non è tale solo mentre è in servizio. Spero bene di non dover approfondire il tema: il Patto associativo non è un documento a cui attenersi solo con l’uniforme addosso.
L’adesione al Patto associativo implica la Scelta politica e non necessariamente partitica, certo, ma, al momento, sembra andare per la maggiore il convincimento secondo cui un capo scout non possa impegnarsi anche nella politica partitica perché questo sarebbe in contrasto con il suo servizio educativo. E questo convincimento, invece, mi sa tanto di scusa pronta per tenersi lontani dai guai.
Candidarsi (ed essere magari eletti) è una vera rogna: non solo c’è la certezza di rendersi parecchio impopolari tra la gente ma anche tra gli stessi scout che troppo spesso sottopongono questi capi che si trovano a indossare la fascia tricolore sopra il fazzolettone a una specie di damnatio memoriae.
Chi sono i capi scout secondo il sentire comune? Si oscilla tra l’essere considerati ingenui sognatori che, comunque, lavorano per la squadra di Nostro Signore e danni non ne fanno, fino ad ascendere all’olimpo degli eroi del nostro tempo, impegnati, servi inutili, a dare tutto anche quando i loro sforzi possono sembrare palesemente inefficaci.
Ma se lo stesso capo diventasse assessore resterebbe eroe oppure contaminerebbe l’onore dell’uniforme con la sporcizia di un’ordinanza sui rifiuti sbagliata o la corresponsabilità con una decisione impopolare, ma giusta, del sindaco? Mi domando, quindi, a che servano una donna e un uomo della Partenza se non possono nemmeno fare i consiglieri comunali: chi lo dovrebbe mai amministrare questo mondo un po’ migliore che ci stiamo sforzando così tanto di costruire e lasciare ai posteri?
E quando ci si candida, posso testimoniarlo per esperienza personale, ci si vergogna di raccontare il proprio servizio, un po’ per pudore, un po’ per evitare di “farsi pubblicità con il fazzolettone”, un po’ perché il proprio passato o presente di capo è diventato più un ostacolo che altro in un confronto elettorale.
Insomma, capisco bene che un impegno politico possa far paura e che il conflitto d’interessi sia sempre dietro l’angolo ma, se non ci si può fidare degli scout e tra scout, mi domando quale sia il senso di mettersi i calzoncini corti anche d’inverno per raccontare, a bambini e ragazzi, delle evidenti favole a cui non crediamo nemmeno noi. La netta separazione tra impegno politico associativo ed eventuale impegno politico partitico è perfettamente possibile a molti livelli associativi (vedi Art. 19 dello Statuto), quindi perché Arcanda non potrebbe svolgere il servizio di consigliera comunale? E questa Arcanda (o Akela, o capo fuoco), svolgerebbe un servizio aggiuntivo: perché abbandonala, umanamente, personalmente, politicamente, anche se si candidasse in un partito che non è il nostro?
Si tratterebbe di un comportamento che oscilla tra la fuga e la resa, travestito da volontà di purezza. Lasciamo perdere i casi particolari di capi candidati in partiti estremisti al limite dell’arco costituzionale e del Patto associativo in cui, scusatemi, il problema è a monte: cosa ci fanno in Comunità Capi tipi del genere? Credo che per l’AGESCI un capo neofascista sia un problema anteriore a quello di un capo neofascista candidato per un partito neofascista.
Probabilmente, poi, nessun partito dell’arco costituzionale è perfettamente coerente con il Patto associativo. E vorrei ben vedere: il nostro Patto associativo non è citato nella Costituzione Repubblicana, no? Sta al singolo rispettarlo al di là di statuti e linee politiche.
Un impegno in politica è un rischio che non intendo minimizzare.
Ma il rischio fa parte del Dna del capo. Senza rischio non c’è progresso né amore. Chi decide di proseguire il suo servizio estendendolo dai ragazzi al resto della collettività dovrebbe poterlo fare con il pieno sostegno civile (non necessariamente elettorale, ovviamente) della propria Comunità capi. Chi si sentisse chiamato a un servizio più ampio non dovrebbe temere altro che il peso della relativa responsabilità. Perché siamo chiamati al servizio che la nostra vita può dare: la parabola dei talenti è chiara, no?
@angelorgiordano
[Foto Piacenza5]
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