Amori “usa e getta”, non detti e… troppi silenzi. Che relazioni viviamo?
Non me ne vogliano i fan di Maria de Filippi – e qualora tra i lettori di Proposta educativa ve ne fossero non c’è nulla di male eh, che a volte un po’ di evasione e leggerezza fa bene – ma… Niente, chiedo venia ma lo devo dire ad alta voce: io odio Uomini e donne.
Per chi non lo conoscesse: è un reality talk che ha lo scopo di far nascere coppie amorose. Eh sì, lo so che è brutto odiare, ma ci sto lavorando su e, infatti, della serie cerchiamo comunque di vedere il 5% di buono: questo talk, oggettivamente trash, ha aiutato quantomeno un certo progresso culturale sul concetto di coppia con accezione esclusivamente eterosessuale, e dunque far “accettare” al grande pubblico anche il concetto di coppia omosessuale.
Detto questo, io odio – ma sì, mal sopporto, ecco – Uomini e donne per l’altra faccia della medaglia: assistiamo quotidianamente a una mercificazione del corpo, come questo fosse un prodotto, un brand da vendere. Cioè: non curo la mia salute e anche il mio aspetto fisico perché consapevolmente mi amo e rispetto il mio corpo. Lo faccio invece perché lo espongo, lo vendo, lo maltratto anche se necessario. Si parte dunque da una consapevolezza profondamente diversa. Il “Salute e forza fisica” a noi tanto caro è afferibile al paradigma “essere forti per essere utili” e non “essere fighi per essere socialmente accettato”.
Io amo il modello culturale dove il corpo e tutto ciò che gli ruota attorno è gestito e vissuto con consapevolezza, con rispetto, sia per sé che per gli altri.
Spesso mi chiedo, pensando alla corporeità delle relazioni e sull’affettività, sia da padre e marito e capo scout: a cosa sto educando? In Comunità capi, che esempio siamo tra gli uni e gli altri e con i ragazzi che ci vengono affidati?
Credo che il modello culturale della mercificazione del proprio corpo sia collegata a doppio filo alla logica consumistica del take away dei tempi in cui viviamo, in tutti i campi. La logica dello scarto: nel cibo, nella società, nelle relazioni.
Il tabù dunque non è parlare di sesso e di quanto sia bello l’amarsi: è tra le cose migliori che possiamo avere e augurarci per le nostre vite – cos’altro è Dio se non Amore? E mi vengono in mente le parole di un mio amico prete, don Alberto Rivolta, che parlando a un capo che finalmente aveva scoperto come vivere la sua sessualità e l’amore, aveva anche (ri)trovato Dio.
Avere tabù sull’amore e su quanto sia bello viverlo attraverso il proprio corpo, è avere tabù su Dio stesso. Il vero punto critico, oggi, è parlare del COME: per esempio nella nostra associazione, il problema dal mio punto di vista credo non sia l’orientamento sessuale dei nostri capi ma come questi vivono le loro relazioni; quanto ne siano rispettosi, quanto questi rispettino l’altro e se stessi perché cambiare spesso partner è qualcosa di profondamente sbagliato – e facendolo, testimoniamo dunque quanto anche noi siamo succubi della logica “usa e getta” – e cari capi, non è essere bacchettoni: è semplicemente dirsi che un comportamento così, è sbagliato. Se non lo si capisce da soli, credo sia un ottimo argomento di discussione nelle Comunità capi – dove non deve essere presente il giudizio sulle azioni dell’altro ma l’amore per correggersi e camminare assieme.
Se ci diciamo che Dio è amore, l’amore deve dunque essere pubblico. In ogni singola azione che facciamo da capi e da uomini e donne – questo sì che lo amo – l’amore è visibile e lo deve essere a noi, agli altri capi e ai nostri ragazzi. In Comunità capi ognuno deve sentirsi libero di esprimersi su un argomento che troppo spesso vogliamo dirci come “fatto privato” e non parlarne: credo invece che la Comunità capi possa essere il posto in cui potersi mettere a nudo – ecco, dato l’argomento, non intendo letteralmente – e potersi dire reciprocamente i propri punti di vista, su di sé e sull’altro.
Negli anni Settanta uno slogan femminista recitava Il privato è politico: il concetto era che tutti fatti che accadevano nelle quattro mura di casa fossero comunque soggetti a una valutazione politica – soprattutto critica verso la cultura del patriarcato scardinata dai moti del Sessantotto.
Io aggiungo che anche amare è una questione politica. E politicamente io rifiuto la logica dello scarto quanto adoro avere una relazione d’amore consapevole, rispettosa e senza tabù con il mio partner. Il sociologo Umberto Galimberti sostiene che «solo amando l’altro, con il mio corpo, posso capire l’altro, altrimenti mi sarebbe indifferente. Dobbiamo coltivare l’amore». Credo abbia proprio ragione. Non possiamo sganciare la corporeità cioè l’atto sessuale – ormai sdoganato culturalmente dai tempi della TV commerciale provata degli anni Ottanta – dalla cura e dalla coltivazione della relazione. Quante volte diciamo che l’amore con Dio è come una pianta da coltivare, con cura e costanza. Dobbiamo essere coltivatori di amore, con se stessi e con il proprio partner, con costanza, tenacia e rispetto. Coltivarlo, come fosse un bel fiore.
[Foto di Camilla Lupatelli]
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