Quel che è stato e che potrà essere
«Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi,
Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze, e abbia scritto tutto al suo conto»
Don Lorenzo Milani, Testamento, 1966
È la notte di san Giovanni e sto contemplando un grande falò, acceso nella ritualità di quei gesti che mescolano tradizioni contadine e credenze popolari, un po’ superstiziose ma cariche di presagi e di speranze per il futuro.
Caro A., la mia mente corre subito a quel fuoco di bivacco, quando da capo alle prime armi raccoglievo i tuoi pensieri di esploratore, che mi offrivi con una spontaneità disarmante, confidandomi i tuoi più intimi sentimenti, così fragili e delicati, che cercavo di custodire nel mio cuore di creta.
E sì, perché la connessione è immediata, e un ricordo lontano si fa subito presenza viva. Semplicemente perché è speciale, perché una relazione capo-ragazzo supera i confini del tempo e dello spazio, e possiede una scintilla di eternità.
Perché ricordo come fosse oggi che sì, eri fidanzatino con Sara, ma mi sussurrasti che Lollo ti capiva, e ti piaceva un po’ di più.
Quanto ho dovuto imparare. Ad abitare una relazione che andasse oltre il presente, oltre il già vissuto. Ad avere una vista lunga perché intrinsecamente legata al desiderio di costruire un futuro migliore, ad immaginare una via per la felicità. A cercare di svelarti un orizzonte più ampio, capace di darti una chiave per poter vivere un’esistenza più vera, più piena, nella quale scoprire te stesso, le tue passioni, coltivare le tue capacità e vederle fiorire, abbracciare le responsabilità ed amare la vita stessa con profondità ed autenticità. Ho poi visto come quella specialità presa da lupetto si sia trasformata nei tuoi studi universitari, e oggi ti accompagna nei tuoi primi passi nel lavoro. «Già e non ancora». La chiamano arte del capo, dicono.
Quanto ho dovuto preoccuparmi per te. Gli sbagli che ho fatto. Sentirmi inadeguato. Quell’altra tua sbandata, e io lì mancai, non mi accorsi, non ti tesi la mano. Una fiducia che stava implodendo tra muri e barriere, e che invece si trasformò incredibilmente nel terreno più fertile, e io diventai piccolo piccolo. Mamma mia che rischio. Chi tenne la via aperta? La chiamano arte del capo, dicono. Macché, è presenza di Dio soprattutto quando tutto vacilla! Il Signore provvede, raddrizza i sentieri, ci riscatta nel nostro fallire da capi. Perché un’autentica relazione educativa trasforma (o trasfigura?) entrambi, me e te.
Quanto ti ho voluto, e ti vorrò bene. Scompaiono nel buio le ultime scintille del falò che lentamente si spegne… «Sentinella, quanto resta della notte?»…
Caro Ruggero, resta una profondissima saudade. Un intraducibile senso di nostalgia e insieme di desiderio per quello che è stato e per quel che potrà ancora essere. Perché la relazione te la giochi una volta sola. Tu provi a ispirare, accompagnare e sostenere una, mille vite dei ragazzi che ti sono affidati. Ma li custodisci tutti, li porti tutti nel tuo viaggio incontro al Signore. Pezzi di cuore. Che ti siano di lode, e non di condanna.
[Foto di Nicola Cavallotti]
Un commento a "CARO RAGAZZO"
Desirée 17 Novembre 2023 (14:00)
Straordinario e vero questo articolo. Racchiude i sentimenti di un capo che vive assieme ai ragazzi un percorso di crescita ricco di mille sfumature.
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