Cambiare Stato

di Anica Casetta

Accompagnare i ragazzi a crescere nella partecipazione

Con la neve fresca sugli scarponi si rientra a casa-base, cambio d’abito che neanche a Sanremo, un salto in bagno e un’occhiata allo smartphone «che non si sa mai». La pattuglia cucina fa il tifo perché l’acqua del tè si scaldi in tempo zero (contro ogni legge fisica), il resto della truppa stramazza sulle sedie rigorosamente posizionate in cerchio.

Merenda pronta e il cerchio di sedie e relativi occupanti trasla fino a circoscrivere il tavolo, un cervellotico calcolo infinitesimale per poter inserire delle altre sedie e… siamo tutti presenti!

Il tepore del tè e gli zuccheri di un numero imprecisato di biscotti ci rimettono in pace con il mondo. È ora del rover in aria di partenza che prima condivide il suo incontro di qualche settimana fa e poi coinvolge il resto del clan nel descriverlo rispetto alle scelte della Partenza.

«Prima di provare a dire qualcosa, mi spiegate bene che cosa si intende per scelta politica?»

«Ma se lui si ritiene poco paziente perché in realtà vorrebbe che le cose necessarie venissero fatte subito, forse allora non è da vedere come punto di debolezza»

«Non so come viva la fede interiormente, però da fuori vedo che si impegna, che cerca di essere presente e rendersi utile nei luoghi in cui si vive la fede»

«Quando sei convinto di quello che dici, tendi a non dare spazio agli altri. Anni fa era un atteggiamento più marcato, adesso molto meno, si vede che ci hai lavorato, infatti ora con te mi confronto più volentieri»

«Forse penso troppo alle cose prima di farle?»

Non so a voi, ma a me sembra di percepire un timido inizio di passaggio di stato, di quella trasformazione che non altera la composizione della sostanza, ma solo il modo in cui le particelle sono legate.

Ghiaccio e vapore non sono la stessa cosa, ma hanno la stessa sostanza: l’acqua.

Presenza e partecipazione non sono la stessa cosa, ma hanno la stessa sostanza: noi. È noi in due stati diversi: un noi le cui particelle sono legate dall’essere e un noi in cui invece sono legate da essere con e da essere per.

Attenzione però che la trasformazione da uno stato all’altro avviene se la sostanza è sottoposta a variazione di temperatura e pressione, non per caso, non a caso. E noi capi la sappiamo lunga su questa faccenda del “non a caso”.

Serve sottoporci a una variazione di senso di appartenenza. Quello sì che trasforma, che smuove, che assegna e consegna valori nuovi. Abbiamo aggiunto a essere solo con e per, due preposizioni semplici, ma non semplicissime. Con chi? Per chi? Per cosa? Si apre un mondo di possibilità: riconoscersi, offrirsi, provare, sbagliare, cercare una direzione, scoprirsi unici, sentirsi parte, costruire pensieri, dare vita ad azioni, appassionarsi, cercare altro. E il pensiero torna al partente di qualche riga sopra in – splendida – balia dei pensieri dei suoi compagni di strada.

È bandito il fatalismo con i nostri ragazzi: tanto è un gruppo nato male, non si appassionano a niente, sono mal assortiti, non riescono a pensare ad altro che a loro stessi… Possiamo accompagnarli anche a crescere nella partecipazione, possiamo essere loro accanto nello scoprire gli onori e gli oneri dell’appartenere. È uno sporco lavoro e noi possiamo farlo!

E allora capo, abbi pazienza e fiducia, serviranno tante variazioni piccole, graduali, tanti cambi di prospettiva: dall’io all’io con, dal noi al noi per, dal noi a oltre. Sarà un’appartenenza mai uguale a se stessa, che favorirà la scoperta e la costruzione di ognuno.

Capo, fai domande, quelle vere, quelle giuste, quelle che offrono spazio e tempo: spazio al pensiero, al dubbio, alla ricerca di ognuno e tempo per l’ascolto, per l’elaborazione. Fai domande e non stimolerai solo risposte, ma anche altre domande.

Capo, ascolta le risposte, considerale, masticale, rilanciale e così non avrai ascoltato solo la risposta, ma anche chi te l’ha offerta.

Capo, occhio alle domande e alle proposte dei tuoi ragazzi, hanno un tasso di rischio altissimo, non puoi prevedere dove vi porteranno. Ma questo è protagonismo, quello vero, non quello in cui sei tu a mettere al centro dell’attenzione il ragazzo (magari a spintoni, magari quando non ci sono le condizioni), ma quello in cui è il ragazzo che vuole sperimentarsi perché per lui è il momento giusto.

Capo, metti in conto che potresti non avere la risposta. No, non deporre il fazzolettone, non è una sconfitta, è una ricchezza. I ruoli nella partecipazione a volte si scombinano. Scopriremo così che non tutte le risposte sono immediate ma vanno cercate, costruite, a volte con pazienza e fatica, e che raramente ci bastiamo e allora abbiamo bisogno di interpellare qualcun altro, di scoprire appartenenze altre dalla nostra.

Capo, spingi su un’appartenenza generativa, quella che non si traduce in essere di, che non chiude, ma che apre porte e finestre perché guidata da interesse, da curiosità, da necessità, da desiderio di guardare oltre.

Capo, soffia forte su quell’oltre dove ci si vuole avventurare perché l’appartenenza non è stare bene insieme in sede, ma sognare insieme quali confini allargare e questo richiede convinzione, impegno, responsabilità. E si impara da piccoli, dal branco e dal cerchio. E allora capo, con chiaro e radicato l’orizzonte educativo, accompagna… accompagna nel cogliere opportunità e nel rileggere il vissuto di esperienze autentiche di partecipazione, alla scoperta dello stato, solido, liquido o gassoso che sia, di quel senso di appartenenza.

[Foto Piacenza 5]

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