Amor mi mosse

di Oscar Logoteta

Novembre, Milano, sabato mattina, piove. Arriva col suo cappello, la borsa e l’ombrello, un po’ bagnati. Ci saluta e, con un gran sorriso ci dice subito «ho solo un’ora». E capisci che ha solo un’ora da dedicarci perché dopo, deve dedicare del tempo a qualcun altro. Ce ne parla subito, di quell’altro: i suoi racconti sono nomi, volti, persone. Sono storie, tante, e relazioni, vere. E inizia proprio così, dicendoci che le relazioni non sono che un sinonimo di amore. Certo, noi capi scout siamo “cintura nera” di relazioni e, quando se ne parla in ambito educativo, potrebbe suonarci quasi banale ma, vi assicuro, non quando ne parla don Gino Rigoldi.
Don Gino Rigoldi, al secolo Virginio, classe di ferro 1939. Nato a Milano in un quartiere popolare, uno di quelli dove nelle case di ringhiera era normale avere il bagno in fondo al ballatoio comune. Lavora come operaio fino ai diciottanni, età in cui risponde alla sua Chiamata. Entra in seminario e, di lì, inizia la sua fantastica storia, fatta di lotte, diritti e, soprattutto, di relazioni. Dall’anno domini 1971 è cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano.
Arginare don Gino è cosa complessa e, tra i suoi tanti racconti, mi colpisce soprattutto uno: ci racconta, con una semplicità disarmante, il “giorno zero” della sua comunità.
Milano, inizi anni 70, una fredda giornata d’inverno che quando parli con chi ha vissuto quegli inverni ti dice che «non fa mica più quel freddo lì». Una sera don Gino, salutato uno dei suoi ragazzi, questo ricambia e, con uno spadino in mano, si avvia verso una macchina. Don Gino se ne accorge, lo ferma e gli chiede: «Ma cosa fai?», e questo gli risponde, con spontaneità: «Bé, don… Mi procuro un posto dove passare la notte, mica posso stare qui, fa freddo».
È la scintilla, scatta la molla in quell’agorà di idee e passioni che sono la testa e il cuore di don Gino: non ci pensa due volte e, con spontaneità, dice: «Bé, io ho due stanze a casa, in una ci dormo io e nell’altra tu, no?».
Questo è don Gino Rigoldi.
Risaliamo tutti al presente e don Gino continua, raccontandoci di quanto sia importante essere persone preparate e compassionevoli. Preparate perché, in un mondo così complicato, si deve avere la padronanza dell’oggi suffragata da numeri, statistiche e dati oggettivi. Ci dice che «dobbiamo, noi educatori, essere consapevoli di quello che stiamo vivendo», come a dirci che l’aspetto emozionale deve essere accompagnato da un aspetto più razionale, oggettivo. Compassionevoli perché è importante non solo farlo capire all’altro, ma soprattutto a sé stessi, che se stai bene tu, io sto bene. «Se stai male tu, io sto male». Una compassione – dal latino: cum insieme, patior soffro – che è più dell’empatia, che forse ci fa fare quel salto per rendere una relazione davvero autentica, condizione necessaria per fare davvero Accoglienza che, con una semplicità disarmante, don Gino definisce come una comunità fatta di relazioni. 

Quindi, accogliere: come si fa? Non ci sono ricette, ovviamente, ma don Gino ci ha dato degli spunti sui quali ragionare: avere pazienza – tanta, aggiunge sorridendo – compassione, come detto prima, ed essere inesorabilmente convinti che, nell’altro, c’è sempre del buono – e noi capi Scout, sul quel almeno il 5% di buono, ci lavoriamo da sempre.
Accogliere senza paura: la paura, che don Gino definisce già come una forma di giudizio non ti pone nelle condizioni necessarie per instaurare una relazione autentica. Chi lo conosce – e un poco, ho avuto la fortuna di conoscerlo – sa che don Gino è come un torrente in piena fatto di amore e passione. Tra i tanti aneddoti e storie escono, timide ma imponenti, delle indicazioni ben chiare: accogliere è fatto anche di regole, bisogna stipulare un patto – e ci risuona anche questo, vero? – perché un’accoglienza fatta senza regole porta a un grande slancio di cuore che ha breve vita.
Ci ha parlato anche di fallimenti: qui il suo volto un poco cambia, ma senza perdere mai quel sorriso di speranza; un velo di malinconia cala su tutti quando, parlando di fallimenti in ambito educativo, sai che questi possono a volte tradursi in fatti tragici e terribili. «Si soffre tanto» ci dice don Gino e aggiunge «ma assieme, pregando e confrontandosi, senza colpevolizzarsi o colpevolizzare, si deve andare avanti, guardare al futuro». Si soffre tanto, ed è vero: mi vengono in mente i miei di fallimenti da capo, ma anche i momenti di ripartenza che so di avere potuti superare solo come don Gino ci ha detto: per noi capi questo si traduce con la Comunità capi, luogo insostituibile di confronto, di preghiera, di aiuto reciproco e – aggiungo – di formazione; elementi che, se assenti, farebbero crollare i principi fondamentali su cui basiamo il nostro agire educativo come la “corresponsabilità” e la “coeducazione” che, senza i quali, darebbero ai fallimenti un peso insostenibile – a tal proposito, consiglio la visione, auspicabilmente di Comunità capi, di Si può fare, commovente e stupendo film del 2008 di Giulio Manfredonia.
In contrapposizione a questo, don Gino ci dice anche che la dimensione comunitaria è sempre importante: educatori che sono individualisti brillanti, di fatto, non funzionano. Per noi capi scout, quello che si deve trovare è l’equilibrio del fratello maggiore, dove la dimensione relazionale sia autentica ma non si trasformi in un rapporto esclusivo o, ancor peggio, in idolatria.
Dunque, don Gino ci ricorda che per fare accoglienza con progettualità, assieme, dobbiamo fare un patto e che, come ogni patto che si rispetti, preveda la volontà da parte di tutti i soggetti coinvolti e una condizione di base imprescindibile: l’amore. Sì, perché senza il comandamento dell’amore e senza il messaggio ecumenico del Vangelo e dell’esempio di Cristo, potremmo ambire forse a essere comunità educanti, come gruppi di lavoro, certo  non comunità di relazioni.

L’ora corre troppo rapida, don Gino ci saluta, prende l’ombrello, guarda fuori e, anche se ancora piove, fa un sorriso. 

 

Un piccolo uomo spazioso come una chiesa

Don Gino Rigoldi. (1939) ha dedicato la vita ai giovani. Dal 1972 è cappellano dell’Istituto penale per minorenni Beccaria di Milano. Nel 1975 ha fondato Comunità Nuova per l’inserimento sociale dei minorenni; è presidente di Bir, Bambini in Romania, per la tutela dell’infanzia in Italia, Romania e Repubblica Moldova. Le sue innumerevoli attività e intuizioni oggi sono seguite dalla Fondazione don Gino Rigoldi (fondazionedonginorigoldi.it). Per il suo 80° compleanno Jovanotti gli ha dedicato la canzone “Una volta don Gino”: «Don Gino è un piccolo uomo, spazioso come una chiesa», dice uno dei versi.

[Foto Martino Poda]

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