Per educare un bambino ci vuole un intero villaggio

Ci è stato richiesto via twitter (@agesciPE) e volentieri pubblichiamo sulla nostra pagina web l’articolo di Alberto Fantuzzo “Per educare un bambino… ci vuole un intero villaggio” che trovate sul numero 3 di PE.

Nell’articolo Alberto introduce il tema dell’emergenza educativa e della necessità di giocarci in una relazione significativa come ultimo modo per cambiare le cose. E’ necessario identificare gli attori che, oltre a quelli tradizionali, hanno un ruolo importante. (In grassetto alcune parti estratte dall’articolo)

Vi sarebbe poi il ruolo fondamentale della “comunità educante”, dove per comunità educante consideriamo quella che è così ben riassunta da un efficace proverbio africano: “ci vuole un intero villaggio  per educare un bambino”. Questa dimensione sociale, comunitaria, culturale, anche ecclesiale, è oggi sovente svanita, soprattutto nelle grandi città: una volta tutti si conoscevano, i figli erano un po’ figli di tutti e tutti si sentivano responsabili del corretto comportamento delle giovani generazioni.

Il villaggio si è trasformato progressivamente in un “portafoglio di offerte” che sono spesso di competenza del volontariato organizzato, per questo i volontari devono essere competenti.

Sempre più servirà in futuro una categoria di volontari formati, competenti, non improvvisati, specie in àmbito educativo, per far fronte alle sfide sempre nuove che i giovani lanciano. Si tratta di abitare fino in fondo le domande che le giovani generazioni pongono, si tratta di condividere con i giovani delle esperienze autentiche, dei pezzi di strada, in senso fisico e metafisico, mettendosi al loro fianco, accompagnandoli più che sanzionandoli, ascoltandoli più che parlando loro.

Il mondo del volontariato non può pensare di essere esente da alcuni rischi tra cui, solo per citarne due, la sostituzione del ruolo (in particolare della famiglia) e l’autoreferenzialità. Alberto ha ipotizzato tre antidoti a questi rischi.

La gratuità mi sembra essere la prima. Mentre la tendenza generale è quella di monetizzare tutto e di dare un prezzo a tutto, il valore del dono e della gratuità conferisce un’autorevolezza che agli occhi dei giovani costituisce una sicura discriminante in senso positivo.

La seconda sfida è quella dell’accoglienza, dell’inclusione, della disponibilità al confronto. I giovani di oggi vivono ormai da anni una dimensione transnazionale, globale, mondiale, che azzera di fatto i confini di cultura, di religione, di razza.

La terza sfida mi sembra essere quella della sostenibilità del servizio volontario, di fronte a una società sempre più insensibile, angusta, destrutturata. […] Che tipo di continuità può garantire un volontario mosso da mille buone intenzioni, ma costretto a organizzare ogni giorno la propria vita tra agenzie interinali, contratti a progetto, impossibilità a radicare relazioni stabili, impraticabilità economica a contrarre un mutuo e a formare una famiglia? Il rischio è quello di una categoria, quella dei volontari, costituita sempre più da pensionati, da adulti ormai privi di inventiva e di forza d’animo, da disoccupati privi di prospettiva, impossibilitati a fare progetti su sé stessi e quindi difficilmente in grado di aiutare i più giovani a fare progetti su sé stessi e sul proprio futuro.

L’augurio è che la società, nel suo insieme, possa farsi carico di sostenere volontari. Meno precari e più volontari!

L’articolo è stato pubblicato in forma estesa sulla rivista Etica per le professioni e lo potete scaricare e leggere liberamente.

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