Suor Paola, o Sr. paola, come si firmerebbe lei, usando le minuscole per esprimere anche nella forma tutta l’umiltà di cui è capace, è un Dono del Cielo che è inaspettatamente “piovuto” nella nostra comunità durante questo anno scout.
Al rientro dal campo estivo di reparto, Suor Paola ha raccontato il suo “pensiero” in un articolo che è stato poi pubblicato sulla rivista della casa di riposo presso cui fa servizio.
Ci è sembrato bello condividere le sue parole così preziose e profonde con chi lo scoutismo lo vive da sempre e probabilmente non è sufficientemente consapevole della “missione” a cui è chiamato.
…sperando di non far torto al nostro “dono del cielo” e alla sua disarmante riservatezza…
la Comunità Capi del Molfetta 1
UN COLORATO FAZZOLETTONE
di Sr. paola
Il viaggio: un’esperienza tanto comune quanto suggestiva. Le ansie dei preparativi, l’entusiasmo della partenza, le gioie e le durezze del cammino, il raggiungimento di nuove e insperate mete di comunione… Sono tutte assonanze che evocano nell’immaginario comune la metafora della vita e della fede.
Mi sembra impossibile raccontare fedelmente un viaggio specie se vissuto in stile scout come quello a cui ho partecipato all’inizio dell’Agosto scorso. L’inchiostro è infatti incapace di riproporre le situazioni, le atmosfere, i profumi e i suoni del bosco, per non parlare di quell’itinerario interiore di esodo da sé stessi inevitabilmente indotto alla situazione del viaggio e il disorientamento rispetto alle proprie stereotipate consuetudini. Credetemi, per una religiosa non è facile essere “stanata” dal proprio habitat conventuale per lanciarsi all’avventura in un luogo sperduto dell’Abruzzo, dimenticare le cappelle e i refettori per familiarizzare con tende e gavette, lasciare i corridoi lucidi e percorrere i sentieri polverosi di montagna… non fosse altro per l’ingombro delle vesti!
Tuttavia nella sobrietà dei mezzi, nella genuinità di una vita semplice a stretto contatto con la natura, condividendo la giovialità di quei ragazzi forti e affidabili, ho avuto modo di convincermi sempre di più di quanto lo scoutismo possa essere un formidabile spazio di crescita per accompagnare i ragazzi sul difficile sentiero della fede.
In un momento in cui la Chiesa vive il grande problema della “diserzione” giovanile dagli oratori, il mondo scout ci viene propiziamente incontro mettendo a disposizione dell’evangelizzazione come un gran contenitore di giovani di tutte le età a cui è offerta una proposta educativa solida e concreta, in piena sincronia con i valori evangelici.
Ogni esperienza vissuta nello scoutismo infatti può costituire una realtà significativa che rimanda alle grandi questioni della vita, che interroga, invita a riflettere e a porsi il problema del credere. Così che lo scoutismo costituisce un’occasione di incontro con il Vangelo e dà l’avvio ad un’originale forma di spiritualità cristiana, la quale richiama molto il fascino delle origini del cristianesimo fatte di essenzialità, condivisione, spirito di adattamento alla sequela di un Gesù sempre in cammino.
Ecco perché, a mio parere, oggi più che mai l’AGESCI deve essere considerata nelle nostre realtà urbane, “terra privilegiata di missione” anche se rispetto ad altre realtà associative esce un po’ dagli steccati parrocchiali e troppo spesso non è oggetto di grandi attenzioni pastorali. Per noi gente di Chiesa rappresenta una sfida importante, uno scossone al nostro annuncio pallido e sonnolento.
È scomodo uscire dalle nostre trincee, preferiamo che la gente venga da noi, ma il nostro ormai è un contesto fortemente missionario e il missionario è uno che va, non uno che aspetta, non dice “venite”, ma “andiamo”! Le esigenze della nuova evangelizzazione richiedono nuovi metodi, nuove espressioni, nuovo fervore degli apostoli. I giovani ci sono; Madrid ne è stata una dimostrazione esplicita! Sono gli apostoli che mancano: uomini e donne innamorati di Gesù che non hanno paura di osare pur di farlo conoscere ed amare.
È molto difficile mettersi in gioco, ma chi ci ha detto mai di essere chiamati alle cose semplici? La missione è questione di amore, non ha frontiere e non è riservata solo a pochi eletti. Essa comincia alle porte di casa nostra, sulle soglie di un cuore libero conquistato da Cristo e spinto dal pensiero assillante di comunicare a tutti la buona notizia: Dio ha cura di noi e lo ha dimostrato nel mandare il suo Figlio Gesù.
Crocifisso, morto e risorto, egli ci ha dato prova di un amore radicale ed eterno che oltrepassa la nostra capacità di ricambiarlo e persino il nostro stesso rifiuto.
Come diremo questo ai nostri ragazzi? I discorsi cattedratici non servono. Io ho scelto di dedicarmi a loro, condividendo i loro spazi, il loro tempo, il loro linguaggio… facendomi così collaboratrice di un Dio che sa camminare insieme all’uomo. Non mi illudo di vedere utopiche fioriture, dico solo che, come consacrati, abbiamo il dovere di seminare anche fuori dai nostri consueti orticelli. Il Signore che sa operare potentemente anche con strumenti inadeguati ci seduca tutti.
L’amore di Cristo ci spinga a più coraggiosi annunci di speranza, vinca tutte le nostre resistenze e ci conquisti interamente alla sua causa.
Con l’aiuto di Dio spero di essere fra questi ragazzi niente altro che presenza che rimanda a Gesù, senza scendere a compromessi però, senza spogliarmi della mia “veste” di religiosa, ma indossandovi sopra un colorato fazzolettone!
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