“Ciao ho una proposta per Agesci”- così iniziava il messaggio di Don Samuele (responsabile dell’ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Diocesi di Mantova) – “partecipare a una missione diocesana, un breve viaggio per tre o quattro capi a Leopoli in furgone per consegnare aiuti umanitari, conoscere persone e portare qui in Italia alcuni studenti dell’università Cattolica, iscritti al corso Italiano”.
Interrogandomi sul senso della nostra presenza in questa missione, mi sono chiesto: “Perché noi e non altri?”.
Poi ho realizzato che la chiamata non era casuale, era personale, era rivolta anche a me.
Si è costituito così un gruppo di sei volontari della Diocesi di Mantova, tre capi scout (Franco, Tommaso e Riccardo) e tre operatori pastorali (Luca, Marco e Arianna).
E’ stata una partenza improvvisata, con autisti più o meno esperti e per lo più sconosciuti, un obiettivo chiaro in mente e molti chilometri a separarci.
Tante ore da passare con i compagni di strada e il solo dialogo da offrire come sollievo alla stanchezza. Poi l’arrivo, l’accoglienza: un piatto caldo e un letto per riposare.
Gli aiuti umanitari, che consistevano in generi alimentari, erano destinati alla nuova Caritas di Glynany, un paesino rurale a 70 km da Leopoli.
La Caritas, in quel paese, è l’unica realtà che aiuta a coprire i bisogni primari della popolazione profuga proveniente dalle zone interessate dal conflitto.
In questo posto lontano dalla città, abbiamo sentito accoglienza e gratitudine. Abbiamo visto la forza di queste persone che in un momento così difficile non si sono lasciate prendere dallo sconforto e dalla rassegnazione ma, rimboccandosi le maniche, hanno costruito strutture, organizzato scuole, attività e una rete di servizi di prima necessità; ci ha stupito la capacità di vedere un’opportunità davanti a ruderi e cumuli di macerie.
Nessun allarme antiaereo durante la nottee in testa la domanda: “Cosa ci faccio qui?”. Cercavo di rispondermi prendendo sonno: “Del mio meglio”.
In città si respirava una finta tranquillità, sebbene tutta militarizzata, la gente sembrava vivere in una calma irreale.
Padre Andrij (Direttore del Seminario della Chiesa Cattolica di Leopoli) si fa interprete della situazione spiegandoci che le persone sono stanche di avere paura e non vivere. Non vogliono più rimandare le cose ad un domani incerto, si vive l’oggi, con la consapevolezza che questa condizione di sentita precarietà, seppur non di breve durata, avrà una fine.
Durante il viaggio di ritorno ad una studentessa ho rivolto una domanda, senza pensare che potesse essere inopportuna: “Conosci il russo?”. Silenzio. “Si” – rispose – “tutti conosciamo il russo ma non lo voglio parlare. Una volta tutti parlavano russo e non ci sentivamo bene, ora che possiamo parlare con la nostra lingua sentiamo molto meglio”.
Il processo di russificazione non solo impone il russo come lingua corrente ma vieta l’uso di tutte le altre, cancella la storia e la cultura del paese, bruciando libri, opere d’arte e riscrivendo programmi scolastici.
Comprendo forse solo ora il sentimento che alberga nella resistenza ucraina. Non è un mero desiderio di libertà ma è qualcosa di più profondo: è la volontà di difendere la propria identità.
Il viaggio ha donato a noi volontari un frammento di Ucraina; noi abbiamo ricambiato come potevamo.
A distanza di qualche mese, il ricordo dei giorni in Italia per gli studenti ucraini è ancora vivo e aggiunge Padre Taras (Docente di Italiano all’università Cattolica di Leopoli): “oltre che un’importante occasione d’apprendimento della lingua è stato prezioso avere avuto un tempo disteso, anche solo riuscire a stare sotto il cielo senza preoccuparsi di bombe che cadono”.
Questa guerra era per me così lontana perché non mi toccava direttamente, ora che ho conosciuto volti, storie e le emozioni di questa gente, inevitabilmente, mi è entrata in casa e l’unica arma che voglio usare è il poterla raccontare.
Ribadiamo la nostra volontà di essere cittadini del mondo e operatori di pace.
Franco, Riccardo, Arianna, Tommaso, Luca e Marco
“Gli articoli della sezione “La parola ai Capi” sono opinioni personali dei singoli autori. Non rappresentano la voce di Pe né di AGESCI”.
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