Educare alla pace. La testimonianza di Gemma Calabresi Milite

A cura del Settore GPN di AGESCI LOMBARDIA
Foto Matteo Bergamini

Ci sono storie che aprono il cuore, cambiano lo sguardo e regalano speranza.
La storia di Gemma Calabresi è una di queste.
L’abbiamo incontrata lo scorso 19 gennaio in un incontro aperto a Con.Ca, R/S e Capi dal titolo “Educare alla Pace, la crepa e la luce”.
Gemma è la vedova del Commissario di Polizia Luigi Calabresi, ucciso in un attentato terroristico a Milano in Via Cherubini 6 fuori dalla sua casa la mattina del 17 Maggio 1972.
La loro storia inizia la sera del capodanno 1968, Gemma conosce Luigi, l’amore scocca subito e così un anno dopo sono marito e moglie. È una famiglia felice, presto daranno alla luce Mario, Paolo e Luigi jr.
Iniziano gli anni di piombo e la gioia che abita quella casa svanisce quando il 12 dicembre 1969 in Piazza Fontana, davanti alla Banca Nazionale dell’Agricoltura esplode una bomba, un attentato terroristico dell’estrema destra, 17 morti e 88 feriti. Ne scaturiscono fermi e arresti, tra questi Giuseppe Pinelli il quale perderà la vita precipitando dalla finestra della Questura di Milano il 15 dicembre 1969.
I gruppi eversivi di sinistra identificano nell’ispettore Calabresi il responsabile della morte di Pinelli. E la mattina del 17 maggio 1972 un commando spara a Calabresi, sotto casa in via Cherubini, a Milano.
E’ difficile anche solo immaginare il dolore e la sofferenza che ha provato Gemma, mamma di 2 figli (e il terzo in arrivo). Doversi dividere tra il dolore per la perdita, e il sostegno per i figli piccoli che stanno soffrendo e a cui bisogna spiegare che da quella sera il loro papà non varcherà la porta.


Quella mattina la casa di Gemma si affolla di persone, tra queste arriva anche don Sandro al quale dice: “Dimmi la verità” e lui senza muovere le labbra disse che era morto. Lei si accascia sul divano con addosso un senso di devastazione totale, guardando la casa, gli oggetti che avevano comprato insieme e tutto, di colpo, pareva senza senso.
Ad un tratto, ha raccontato Gemma, sente dentro di sé un’assurda pace, una forza interiore incredibile. Avverte però che non era sola, che ce l’avrebbe fatta e disse a don Sandro: “Recitiamo un’Ave Maria per la famiglia dell’assassino che avrà sicuramente un dolore più grande del mio”». Gemma quella mattina riceve il dono della Fede.
Il primo periodo fu molto faticoso, fu sua madre in quei giorni a scegliere il necrologio che sarebbe apparso sul Corriere della Sera. Le parole erano tratte dal cap. 23 del Vangelo di Luca: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Gemma le accettò pensando che potessero servire per spezzare quella catena di odio con una frase d’amore, ma il significato più profondo di quelle parole lo capì anni dopo.
Gemma torna a vivere dai suoi genitori insieme ai suoi figli. L’unico momento di pace nella giornata erano i dieci minuti tra quando prendeva il Tavor e quando si addormentava. In quei dieci minuti, ammette, faceva fantasie di vendetta. Ma il valore di questa storia racconta anche che è da quel punto così basso della vita che si può amare ancora la vita.
La famiglia è un sostegno prezioso in quel momento. Grazie a sua mamma trova un lavoro come maestra di religione alla scuola elementare Pietro Micca di Milano.
Con la spontaneità tipica dei bambini, bene prezioso per tutti, ma soprattutto per gemma in quel periodo, un giorno un alunno le chiede: “Ma perché quando uno muore se ne parla sempre bene? muoiono solo quelli bravi? e lei risponde: “è giusto così, perché di quella persona dobbiamo ricordare l’esempio positivo che ci ha lasciato. Sicuramente Dio nella sua infinita misericordia ci giudicherà per il bene compiuto e non per il male commesso”. La risposta che Gemma dà spontaneamente apre a lei stessa la porta a pensieri, in particolare sul senso di quello che le era successo. Tra sé e sé pensa che anche gli assassini di Luigi non sono soltanto assassini ma saranno stati anche buoni padri, amici fraterni, avranno aiutato gli altri, avranno camminato come stava facendo lei sulla strada del perdono e pensò a quale diritto aveva lei a relegarli solo all’atto peggiore che avevano commesso nella loro vita. E così Gemma restituisce ai responsabili della morte di Luigi la loro umanità, la loro vita con tutte le sfaccettature, la loro dignità di persone non chiamandoli più assassini.
Le torna in mente anche quel necrologio “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” e si sente alleggerita: Dio aveva perdonato subito al suo posto e lei avrebbe potuto compiere il suo cammino con calma.

Gemma si mette sulla strada del perdono: incontra detenuti, capisce che per alcuni di loro l’esperienza vissuta dopo le sentenze è simile a quella che ha vissuto lei. Un giorno legge la parola perdono dividendola PER – DONO e improvvisamente capisce che perdonare è un dono che non dai con il raziocinio ma un dono che dai solo con il cuore, con amore.

Fa del perdono una scelta di vita, indipendentemente e senza aspettarsi nulla in cambio.

Negli anni il Paese ha provato a fare pace con la Storia: prima il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel 2004, con le parole “abbiamo ritrovato la memoria”, conferisce alla memoria di Luigi Calabresi la Medaglia d’oro al merito civile. E poi il Presidente Napolitano, con l’intuizione e il coraggio di pacificare le ferite degli Anni di Piombo. Aveva capito perfettamente che per voltare pagina e per aiutare la società a guardare avanti bisogna prima prestare attenzione alle vittime, invitò al Quirinale Gemma Calabresi e la vedova Pinelli, fu il primo a non contrapporre le ragioni ma a mostrare di comprendere le ferite che le accomunano. Gemma ricorda quell’incontro come uno tra i più importanti e pieni di significato personale e per il Paese.

Oggi Gemma ha perdonato e ha la pace nel cuore, ci racconta di un cammino di fede e di donna coraggiosa che anche grazie a “gli altri” ha vissuto il messaggio Costituzionale più alto. E guardandola da qui quella vedova di 25 anni ci sembra così umana nella sua fragilità. ed è proprio perché è cominciato da quel punto così basso che ogni passo di quel cammino quel che ci sembra importante raccontarlo e farlo nostro, viverlo con i nostri bambini e ragazzi.

A cura del Settore GPN di AGESCI LOMBARDIA

[Foto di Matteo Bergamini]

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