Il digitale: uno strumento o un ambiente?

pubblichiamo le riflessioni che Giovanni d’Elia ha inviato alla redazione di PE. Commenti, idee e opinioni sono i benvenuti!

“Ciao Kaa, sono Giorgio… mi potresti scrivere la terza prova per la specialità di giornalista?”.

Questo è il testo di un sms che ho ricevuto.

Lì per lì, la cosa mi ha lasciato un po’  interdetto… ma è la riflessione che ne è scaturita che vorrei condividere con voi. Una riflessione che non si basa tanto sulla metodologia di branca ma sul mezzo attraverso cui questa richiesta è arrivata.

Siamo sempre stati abituati ad immaginare la relazione educativa come ad uno spazio di crescita e confronto fisico, tangibile, “visibile” entro il quale noi capi ci giochiamo, con una buona dose di ascolto e di osservazione, le nostre carte per accompagnare i bambini, i ragazzi e i giovani che ci sono affidati lungo la pista, il sentiero e la strada della Progressione Personale.

Mi sono, dunque, chiesto: “cosa avrà spinto Giorgio a farmi quella richiesta tramite sms piuttosto che aspettare la prossima riunione di branco durante la quale avremmo potuto parlarne con tranquillità?”

Ho pensato che la limitatezza era nella mia mente: l’errore era quello di continuare a considerare come contesto educativamente valido soltanto quello “visibile”, quello giocato faccia a faccia, senza considerare quella vastità di contesti “invisibili” che vanno a costruire la nostra era digitale.

La mia perplessità è sorta nel momento in cui Giorgio non ha fatto altro che ampliare il contesto nel quale normalmente ci relazioniamo, allargandolo ad un ambiente che io, come capo, reputo “invisibile” ma che per le nuove generazioni è più che concreto.

La differenza tra me e Giorgio è sostanziale: io riconosco i due contesti perché li ho scoperti e vissuti separatamente; Giorgio, invece, sin da subito, si è ritrovato immerso in un unico ambiente fatto di relazioni sia fisiche che virtuali, il cui confine è per lui, attualmente, forse, impercepibile.

Noi adulti utilizziamo il “digitale” più come STRUMENTO che come ambiente da vivere.

Ciò significa che ri-conosciamo i pregi e le possibilità che offre, ma anche i pericoli inevitabilmente insiti in ogni contesto tanto che attribuiamo alle nostre azioni un certo senso di raziocinio in un’ottica di responsabilità.

Se si ammette di connotare il digitale come strumento, significa che lo si considera come un mezzo con in quale agire (generalizzando) sul mondo.

Ciò supporrebbe la capacità di utilizzarlo responsabilmente in virtù di una competenza acquisita.

Mi sono, pertanto, chiesto: “che competenze possediamo in tal direzione noi capi?”

La realtà è che, probabilmente, noi capi continuiamo a considerare il digitale come un mostro da distruggere facendo in modo che in ogni nostra attività, a prescindere dalla sua valenza o non valenza, nessuno ne parli o ne faccia uso: una sorta di tabù.

Mi chiedo:  se noi adulti cominciassimo ad acquisire competenze in tale ambito e le utilizzassimo in maniera mirata e pertinente, trasferendo ai nostri ragazzi la capacità di utilizzare tutto ciò che è digitale come STRUMENTO piuttosto che come AMBIENTE da vivere, Giorgio avrebbe evitato di inviarmi quell’sms (o quanto meno mi avrebbe chiesto quando ci saremmo potuti incontrare per parlarne), avendo imparato a ri-conoscere la linea sottile che divide il “mondo visibile” dal “mondo invisibile” e avendo sperimentato quando tale demarcazione possa essere valicata?

Probabilmente, se noi adulti cominciassimo ad affrontare questo “mostro” e ad utilizzarlo, quando serve, nelle nostre attività, insegneremmo ai  ragazzi a non utilizzare il “digitale” come un ambiente affascinante in cui vivere e rifugiarsi, piuttosto come uno strumento con il quale inter-agire evidenziando la bellezza e la preziosità delle relazioni che autentiche possono realizzarsi nel “mondo visibile”.

La verità è che attualmente il luogo in cui giocarsi la relazione educativa si è ampliato fino a dissolversi e noi capi-educatori dobbiamo essere in grado di operare in tali ambienti aiutando i nostri ragazzi a ri-donare senso e valore alle cose e alle persone.

L’sms ricevuto, alla fine, non è che un pretesto per chiedermi: “Non sarà forse che ciò che consideravamo nel passato non essenziale per le nostre attività o irrilevante per le nostre riflessioni, assume ora una posizione centrale? Magari una nuova sfida in cui gettarci…”.

foto di Francesco Mastrella

 

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