Ascoltare i battiti, nostri e altrui
«La vita è una musica meravigliosa», diceva col suo sorriso ampio e disarmante il direttore d’orchestra Ezio Bosso, scomparso poco più di un anno fa; traspariva questa verità da ogni sua espressione e movimento, anche il più incerto. Era certamente per lui “musica sempre”, anche quando scendeva dal palco o posava la sua bacchetta.
Anche nella nostra vita il servizio è la musica del “sempre”: non una parte disgiunta, separata dal resto, isolata in un tempo definito; non uno spazio dedicato e compresso fra i mille impegni; nemmeno un canto solitario disarmonico dal resto. Piuttosto, come la musica, il servizio è una melodia, un ritmo, che non solo accompagna il cammino, ma che è il cammino stesso e ha la forza di determinarne direzione e sviluppi.
La musica come il servizio è quindi innanzitutto Melodia. Un filo rosso che racconta di noi e del nostro modo di stare nel mondo e che intreccia i suoni che ci raggiungono. Melodia…. Quanto è bello questo termine, che gentilmente chiede! “Me – lo – dia!”. È una richiesta che non esplicita l’oggetto, ma esige il dono. “Me – lo – dia!”. Un imperativo. Come se chi chiede sapesse che presso l’altro è custodito un pezzo di sé e ne reclamasse la restituzione. Non esige un atto, ma una disposizione. E se ci pensiamo bene il servizio che rimane non è fatto di attività, ma di relazione.
Il nostro servizio, come ogni melodia, ha una sua evoluzione armonica e può svilupparsi in un susseguirsi ordinato di accordi, in una relazione crescente tra musicista e ascoltatore, entrambi coinvolti nello stesso racconto. Potremmo dire che la melodia, e più in generale la musica, esiste solo se entrambi gli attori sono attivi e presenti, se c’è una relazione “nutriente” che soddisfa e fa crescere entrambi. La musica è quel miracolo che accade nel mezzo, che ha bisogno dell’atmosfera per diffondersi e far vibrare gli organi. La musica, come il servizio, vive e si realizza in quello stato di mezzo. Senza quell’ambiente, denso, concreto e abitato, si crea il vuoto. E la musica sottovuoto muore.
È però esperienza comune che il tempo del servizio è spesso conquistato tra i mille impegni, a volte segnato da un sentimento di affanno e di fatica a esserci pienamente. Come se il tempo non bastasse mai, perché ci sentiamo assediati dagli impegni e dalle priorità, dalle richieste di efficienza, dalla severità che riserviamo a noi stessi. Assomigliamo a volte al Bianconiglio, il famoso personaggio di Alice nel paese delle meraviglie, che corre senza meta gridando “È tardi! È tardi!”. Siamo intrappolati nella convinzione che il tempo del servizio si misuri in minuti e ore, terminate le quali “non c’è più tempo”. Stando nella metafora che stiamo percorrendo, apprendiamo che la musica non si misura esclusivamente in minuti e secondi, ma più appropriatamente in battiti, un po’ come il cuore. La musica ha il tempo del cuore e non dell’orologio. Siamo chiamati a servire stando in ascolto dei battiti nostri e altrui, scoprendo così che il tempo della musica è talmente intimo che ha la forza di modificare il tempo stesso del cuore. La musica, come il servizio, è una questione di tempo solo in coerenza con ciò che si vuole raccontare con la propria vita. Non una questione organizzativa, ma il ritmo del nostro passo: adagio, andante, allegro o vivace con brio. E ogni tempo ha un suo perché.
La disponibilità al servizio potrebbe quindi non essere per forza messa in relazione con i nostri mille impegni, valutando se “ci sta” o meno, ma piuttosto una dimensione immersa nel nostro tempo. Senza l’ansia del dover fare, ma nella gioia dell’esserci.
La musica però c’è sempre anche quando si smette di suonare. Vive nel ricordo e nelle risonanze, perché abbraccia la vita reale: quando reincontri la melodia che ha segnato un momento preciso -una relazione, un’emozione, una esperienza- la musica è in grado di rievocare non solo eventi, ma pensieri e scelte. La musica fa parte del nostro patrimonio esistenziale, ed è uno straordinario strumento di apprendimento. Uno strumento educativo! Capita certamente a ognuno di noi di rievocare il brano della nostra adolescenza, che ha accompagnato una Route, o che cantava sempre quell’amico speciale; La musica è immersa nel nostro tempo, nella nostra vita familiare, sociale, lavorativa: la canzone del primo bacio, il brano che mi hai dedicato, la musica che abbiamo ballato sulla spiaggia, il canto che ha accompagnato un incontro o un saluto.
La musica è tutto quello che c’è, fino alle estreme conseguenze, fino a trasformare l’apparente assenza in presenza: anche il silenzio è musica; anche la pausa ha senso se concertata, se fa parte del componimento. Il silenzio, nel servizio come nella musica, non è assenza, ma respiro. Non è la durata della composizione che determina la sua bellezza: il mio brano, come il mio servizio, può essere breve o prolungato, ma comunque un capolavoro (…e viceversa!). Ci sono brani che durano quindici minuti, il quadruplo di quanto solitamente è tollerabile: il rischio della ripetizione, dell’autocitazione, della perdita di freschezza e autenticità è piuttosto alto. Al contrario anche un brano veloce, della durata breve, può contenere un’intuizione fulminante, un ritornello che si incastona nella memoria.
In quali condizioni quindi il nostro servizio può essere musica?
Azzardo una risposta. Quando melodia, ritmo, silenzi, arrangiamenti, pause, accelerazioni sono armonicamente un tutt’uno, impastati in una relazione di senso: come il pane inzuppato nel vino, come la nostra vita immersa nelle scelte del Patto. Allora potremo dire con Ezio Bosso che “Il servizio è una musica meravigliosa”.
Qual è la melodia della mia vita?
[Foto di Nicola Cavallotti]
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