Una cosa ben fatta. Un ponte oltre il mare

di Alessio Rochira, Capo campo Ross Shqipëria

È nei primi anni Novanta, con l’apertura delle frontiere albanesi, dopo che il regime che l’ha devastata per quasi cinquant’anni ha formalmente cessato di esistere, che la nostra Associazione mette gli scarponi in Albania per la prima volta, cominciando un percorso di servizio e di crescita mutuale che dura ancora.  Oggi la Terra delle Aquile è un Paese con una lenta ripresa economica, caratterizzato da grandi contrasti e da un inesorabile spopolamento. In questo contesto si inquadra il Progetto Albania della Branca R/S, che ha dato struttura e obiettivi educativi precisi alla presenza dei clan in territorio albanese. L’esperienza dei clan in Albania in questi anni ha fatto emergere un confronto vivace su temi quali la cura del creato e dell’uomo, la capacità di costruire insieme la “città”, la responsabilità di un mondo che non ci appartiene ma nel quale siamo chiamati a essere parte attiva e motore di un cambiamento possibile e sostenibile. 

Vivere le esperienze con i vari clan, vedere le loro reazioni, umane e bellissime, partecipare alle loro riflessioni, raccogliere le lacrime nei loro occhi scintillanti di speranza, tutto ciò ha fatto nascere l’idea: e se i ragazzi avessero la possibilità di misurarsi con questo contesto così sfaccettato e bellissimo stando lontano da quelli che sono i “soliti” compagni di strada del clan? Si potrebbero generare delle domande e delle risposte e degli spazi di crescita nuovi e inediti? Questi e altri pensieri sono stati condivisi con le persone che da sempre hanno vissuto con me l’impegno per i ragazzi in terra albanese. Il sogno si è avvalso del confronto con Federico, suor Mina e con la pattuglia Albania intera. Ed è così che è nato il progetto di una Ross in Albania. 

Il primo campo, nel 2015, è stato il più importante, perché ci ha permesso di valutare la fattibilità, le ricadute educative del progetto e ci ha consentito di tracciare una strada sulla quale continuare a camminare. Il luogo scelto era Melgush, un reticolo di poche strade e altrettante case, poca gente in giro, una lingua straniera e almeno due religioni nello spazio di qualche chilometro quadrato, come l’avrebbe definito molto bene un amico tempo dopo. Ma Melgush è soprattutto il posto, alle porte della storica capitale Scutari, dove opera la casa-missione delle Sorelle Francescane della Carità, vero cuore pulsante di questa Ross. Qui ci sono due suore, suor Mina e suor Rosa, vulcaniche, determinate e meravigliosamente inserite nel tessuto sociale e territoriale tanto da essere divenute punto di riferimento spirituale, e molto spesso anche materiale, per Melgush e i villaggi limitrofi. 

Grazie a loro e agli altri capi siamo riusciti a costruire una Ross che parlasse delle scelte di servizio partendo dalle esperienze concrete vissute ogni giorno al campo. Negli anni abbiamo avuto modo di incontrare e servire gli ospiti di una casa-famiglia, i bimbi di un campo nomadi, le suore di un istituto di accoglienza per anziani, le famiglie dei villaggi dove portare conforto e preghiera, gli ospiti di una casa di cura per malati di mente, le suore stesse attraverso gli innumerevoli lavori manuali svolti nella loro missione. Abbiamo avuto modo di confrontarci con una realtà radicalmente diversa da quella a cui siamo abituati, in un contesto di povertà materiali e spirituali, dove alcuni comportamenti possono sembrare assurdi e retrogradi; un contesto di contrasti, ma allo stesso tempo stimolante, multietnico, mutireligioso, in cui la gente ha un cuore grande e generoso; un posto in cui sentirsi accolti e benvoluti con una semplicità e naturalezza che possono lasciare disarmati. Abbiamo avuto la possibilità di riflettere con i ragazzi su molti temi quali la cittadinanza attiva come servizio all’uomo, la gestione del territorio e la spinta alla partecipazione politica, lo sviluppo di una capacità critica verso l’informazione, l’incontro con le diversità culturali, e ancora la scoperta del volto missionario della Chiesa, l’incontro con un contesto multireligioso per coglierne ricchezze e difficoltà.

Questo campo è un viaggio nel viaggio, la traversata di uno stretto braccio di mare che è anche un percorso dentro se stessi: la scoperta di come aprirsi all’altro possa offrire la possibilità di tornare cambiati per cambiare il mondo che ci circonda. Ma è anche un viaggio nella semplicità, nella bellezza, nell’umiltà, nell’accoglienza, nella riconoscenza, nella preghiera, nella cultura, nel volto semplice di Cristo. Credo che il progetto abbia dato la possibilità ai ragazzi che vi hanno preso parte di confrontarsi con le proprie scelte e con il proprio vissuto scout in un contesto che li ha messi alla prova, dandogli la possibilità di scoprire un mondo lontano ma allo stesso tempo vicinissimo, con il preciso intento di uscire temporaneamente da sé per poi rientrarvi, cambiati, e intraprendere così il viaggio di ritorno verso casa. Dove riprendere in mano la propria vita, con fiducia e coraggio, costruendo un futuro di scelte, di servizio autentico nel mondo, di felicità.  

 

[Foto di Alessio Rochira]

Nessun commento a "Una cosa ben fatta. Un ponte oltre il mare"

    Rispondi

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

    I commenti sono moderati.
    La moderazione potrà avvenire in orario di ufficio dal lunedì al venerdì.
    La moderazione non è immediata.
    I tuoi dati personali, che hai fornito spontaneamente, verranno utilizzati solo ed esclusivamente per la pubblicazione del tuo commento.