Cura, tempo, vicinanza, per una comunicazione che crea legami
“Comunicare” è una di quelle parole-contenitore, in cui viaggiano molti significati e molte esperienze. Certamente è un’attività, o forse più propriamente un “legame”, che inizia prima della nostra nascita e prosegue anche oltre l’estremo confine: comunica il bimbo che scalcia nella pancia della mamma e comunica anche la memoria di chi non c’è più. In mezzo la vita, ricca di incontri, parole, silenzi, esperienze.
Innanzitutto un legame, quindi: comunicare è un’attività che collega persone, esperienze, informazioni, costruisce comunità, come suggerisce la radice stessa della parola. Il contrario della comunicazione è l’isolamento e la solitudine.
La comunicazione ha quindi a che fare con la vita intera ed è parte di ogni espressione umana. È una attività profondamente relazionale, che richiede tempo e dedizione, cura e vicinanza. Ha bisogno quindi di un tempo disteso, e paziente. Richiede lentezza e competenza. È ancora così? Riusciamo a fare in modo che sia ancora così?
È innegabile che il contesto sia profondamente mutato perché è avvenuta negli ultimi due decenni una vera rivoluzione: la comunicazione si è trasferita apparentemente in gran parte su canali e piattaforme che sono alla portata di tutti e che permettono di raggiungere in breve tempo un uditorio potenzialmente molto vasto; il piano del virtuale ha sostituito lentamente il piano relazionale; cresce il totem della legittimità di avere opinioni su ogni aspetto delle vita e anche oltre, a prescindere spesso dalla competenza e dalla presenza concreta nella relazione.
La comunicazione si è fatta via via sempre più veloce e sempre più orientata a creare vincoli al posto di legami: l’obiettivo sembra spesso persuadere più che accompagnare. Come educatori ne dobbiamo tenere conto, perché in questo contesto si possono affermare vissuti, emozioni, informazioni che non sempre aderiscono alla realtà o che non tengono nel dovuto conto il peso dell’esperienza e della relazione. Si rischia di agire una comunicazione anaffettiva, che non costruisce legami e quindi rende più fragile l’individuo e la comunità.
Questo scenario pone l’educazione di fronte a una sfida bellissima e avvincente. Possiamo scegliere quale piano abitare, dove collocare le nostre relazioni e quindi su quale terreno coltivare i percorsi di crescita.
Quella che apparentemente è una povertà e una fragilità del nostro tempo, può diventare la nostra forza, se saremo in grado di rispondere con fedeltà alle domande che incontriamo. Alla fame di relazioni, alla solitudine della connessione virtuale, alla contraddizione dei rapporti immateriali, possiamo rispondere con la concretezza dei nostri corpi, degli organi di senso concretamente messi nella relazione vitale, generativa e affettiva. Si è aperta una prateria davanti a noi e possiamo fare quello che sappiamo fare meglio: stare accanto, ascoltare, giocare, accompagnare alla lettura critica della complessità in cui viviamo, collegando parole a valori, esperienze e persone.
Abbandoniamo gli altri piani e gli altri strumenti? Ma certo che no! Scegliamo di stare nei diversi ambienti della comunicazione con consapevolezza, facendo attenzione a come e cosa comunichiamo.
Ricordo il monito del saggio: “Parla solo se hai qualcosa da dire!” Il messaggio era chiaro: comunicazione e competenza sono strettamente legate ed è bene esporsi a partire dai contenuti, che devono avere una qualche solidità. Il resto è “aria fritta”. Oggi potremmo dirci “visto che hai qualcosa da dire, parla!”. La sfida non è tacere, ma dare sempre più voce a valori e legami, esperienze e contesti di comunità, in cui possiamo riconoscerci reciprocamente e agire l’educazione, che vive e prende forma solo nella concretezza della relazione.
[Foto Roma 100]
Un commento a "QUESTIONE DI FEELING"
robertafassini78@gmail.com 3 Luglio 2023 (21:09)
Volevo sapere se c’era qualche proposta per ragazza 17/18 anni provincia di Brescia per estate
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