Chi è davvero Gesù di Nazareth?
Noi, come uomini del nostro tempo, credenti e scout, guardiamo a Gesù con lo sguardo deformato dal kantismo e dal pragmatismo. Per Kant il cristianesimo è essenzialmente una dottrina morale e Gesù un esempio e un maestro di vita. Anche fra i cristiani ferventi si è diffusa l’idea che l’essenza del cristianesimo sia l’agire buono, solidale e caritatevole verso gli altri.
La vera essenza del Cristianesimo
Gesù aveva ammonito i farisei dicendogli che la loro cecità era così radicale che produceva in loro la convinzione di vederci anche se erano ciechi e che questa condizione realizzava per loro l’impossibilità di riconoscere Gesù come inviato del Padre. Qualcosa di simile sta accadendo anche a noi. Giovanni alla fine del prologo ci dice: «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv1,18). Due, secondo Giovanni, sono le cose che dicono l’essenziale del cristianesimo: che Gesù è il rivelatore del Padre e che il suo vangelo è una rivelazione del mistero di Dio. Il nostro pragmatismo e il nostro cristianesimo della solidarietà vacillano e si trovano a disagio di fronte a questa comprensione del mistero di Gesù. Le cose però, se si guarda il vangelo con sguardo libero, sono proprio così. Tutto il vangelo ci racconta di Dio, di come la pensa lui, di come agisce lui, dell’intimità di lui. Giovanni fa sintesi dicendo nella sua prima lettera: Dio è amore. La grande riflessione cristiana dice: Dio è trinità.
La salvezza non è complicazione
È necessario, per il cristianesimo che verrà, tornare a leggere il vangelo come rivelazione del Padre e a comprendere Gesù come rivelatore di Dio. È necessario che il cristianesimo cominci a essere orante e mistico in tutta la sua estensione di popolo di Dio.
Qualcuno penserà che io stia auspicando un ritorno al cristianesimo delle sacrestie. Niente di più sbagliato. Solo un cristianesimo immerso, attraverso la preghiera e la familiarità con la Parola, nel mistero di Dio rivelato da Gesù sarà un vero cristianesimo della carità.
Il cristianesimo che sgorga dal mistero di Dio rivelato da Gesù sarà paolino e mariano.
«Nulla è impossibile a Dio», dice il vangelo; nella vita di Paolo questo principio prende carne. Il più acerrimo nemico diventa il discepolo più audace. Se la caritas scaturisce dal mistero di Dio nulla è impossibile. Non è impossibile restare fedeli a chi si ama per tutta la vita; non è impossibile mettere al mondo figli non “perfetti”… i figli son tutti perfetti!; non è impossibile essere lieti nella sofferenza; non è impossibile distaccarsi dalle ricchezze; non è impossibile dare la vita per i propri amici; Nietszche pensava che “l’oltre uomo” avrebbe dovuto essere l’uomo senza Dio; noi sappiamo che l’oltre uomo è l’uomo con Dio… il Dio rivelato da Gesù. E siamo anche aldilà del bene e del male…siamo nel regno dell’amore.
Solo amore
«Ecco la serva del Signore», dice Maria all’angelo. La caritas che sgorga dal mistero di Dio ha la cifra dell’obbedienza mariana. Quando il legame d’amore con Dio è intenso, forte e intimo, essere strumenti di tale amore non è un esercizio di volontà e di impegno, ma qualcosa che va da sé; un’obbedienza senza fatica: il mio giogo è dolce e il mio carico leggero. Certo ci sarà fatica, impegno, volontà; ma nel profondo sarà solo amore.
Dove porta il mistero di Dio
L’esito di tutto questo percorso sarà l’esperienza intensa della Grazia. Si scopre che tutto è Grazia: tutto dono immeritato, immotivato, inatteso. Tutto nella vita quotidiana, tutto nelle relazioni, tutto nella corporeità, tutto nel tempo che passa… Paolo descrive l’esperienza della Grazia così: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore».
Intimità e impegno
Una volta ero con il clan sulla vetta della Rocca la Meja, in Piemonte. La giornata era nitida; a ovest altre montagne, a est si susseguivano vallate e in fondo la pianura padana. Dissi ai rover e alle scolte: vedete a ovest le montagne, la nostra casa; a est la pianura lo spazio grande del nostro impegno. I miei occhi erano pieni di commozione. Quello che volevo dire loro era che lì sui monti era il luogo dell’intimità con Dio e con i fratelli e là in valle era il luogo dove provare a costruire l’impossibile di Dio. Lo sguardo rinnovato dalla strada e dal vangelo ci facevano vedere le cose in modo diverso. Non tornerò più a Rocca la Meja; voglio che quell’attimo di Grazia sia conservato così.
Padre Davide Brasca
Barnabita, padre Davide Brasca è teologo e filosofo. Già Assistente ecclesiastico generale AGESCI, da sempre è in cammino con gli r/s e i capi.
[Foto di Laura Bellomi]
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