L’unione fa la forza

[di Francesco Castellone]

Facciamo un esperimento. Mettetevi seduti comodi, chiudete gli occhi (non subito, tra un attimo, che dovete prima finire di leggere), rilassatevi, concentratevi e pensate alla vostra comunità capi. Cercate di non soffermarvi sui singoli volti, sul capogruppo, sull’assistente, ma cercate di guardarvi dal di fuori. Ascoltatevi. Di cosa state parlando?

Le risposte possono essere molteplici ma per semplicità di lettura di questo esperimento spicciolo riduciamole a due: 1) state discutendo di cose da fare; 2) state discutendo dei vostri ragazzi.

Se vi riconoscete nella risposta 1, provate a rifare l’esperimento sforzandovi di immaginarvi nella situazione 2 e viceversa. Vi riesce facile?

Sappiamo bene che la vita di una comunità capi è molto più complicata di così e prevede una varietà infinita di argomenti da trattare. Ma qui si banalizza proprio per attirare l’attenzione sul contenuto delle nostre riunioni.

Il rischio che spesso si corre, incalzati dalle urgenze e dalle necessità, è che i momenti di comunità capi sfuggano via  mentre si cercano soluzioni ai tanti problemi pratici che affliggono la vita di ogni Gruppo. Questo contribuisce anche al proliferare di un’altra spiacevole abitudine, ossia il condividere, da parte dei singoli staff di unità, solo quello che si ritiene veramente importante, per non togliere tempo alle questioni ritenute utili.

E pertanto il percorso tortuoso di Sergio verso il brevetto, il momento di difficoltà di Silvia con il resto della comunità di Clan, la paura di Claudia nel partecipare alla sua prima caccia, potrebbero rimanere confinate solo tra le mura del vostro piccolo tinello di staff.

Ma cosa è utile? Cosa non lo è? Chi lo decide? Voi sapete distinguere l’utile dall’inutile?

Attenzione, non sempre la mancata condivisione dipende dalla mancanza di tempo o dall’affollamento di priorità: spesso evitiamo volutamente la condivisione delle nostre scelte educative sui ragazzi con il resto della comunità capi perché abbiamo paura che gli altri, non vivendo il clima dell’unità, non capirebbero; temiamo quindi che eventuali critiche provenienti da osservatori esterni e distaccati, ma comunque con le mani in pasta, possano minare le nostre decisioni, a cui siamo arrivati dopo ore e ore di confronto in staff.

È successo a tutti, dai.

Lasciatevelo dire: in casi come questi si perdono occasioni! Innanzitutto c’è il rischio di smarrire la continuità educativa tra le diverse Branche, che si concretizza nelle piccole e nelle grandi scelte di ogni giorno e si traduce in uno stile ben riconoscibile per l’intero gruppo, anche dall’esterno. Ma soprattutto si perde l’occasione di confrontarsi su qualcosa di molto serio e importante: il progetto che mettiamo in campo per ogni singolo ragazzo, quel percorso che ci piace chiamare Progressione Personale Unitaria.

Queste considerazioni purtroppo non risolvono i limiti di cui abbiamo parlato all’inizio (tempo, priorità, la quantità enorme di temi e cose da affrontare). Ma ci fanno capire che la comunità capi non può e non deve essere solo una federazione di staff. Compito dei capigruppo è perciò quello di insegnare lo stile della condivisione non solo nelle intenzioni ma anche nei modi: pretendere sintesi efficaci, avere chiare le finalità delle discussioni, gestire il dibattito senza lasciarlo andare alla deriva (per via dei protagonismi o della logorrea, ad esempio).
Essere corresponsabili vuol dire spendersi insieme per fare bene, ma – attenzione – anche analizzare ciò che è andato male e condividerne la “colpa”: il mancato brevetto di Sergio, l’uscita di Silvia dal clan o l’assenza di Claudia in caccia sono piccoli fallimenti non solo dei singoli staff ma dell’intera comunità capi, che deve riconoscerlo e capire cosa non ha funzionato.

Non è un lavoro immediato, lo si impara col tempo. Ma una volta appreso, centuplica le potenzialità della nostra azione educativa. Provare per credere.

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