La CoCa luogo di dono reciproco

[di Luisa Giullari]

Non è stata ancora registrata all’anagrafe delle nostre intuizioni: che ne dite la presentiamo come un gruppo di persone che collaborano all’attuazione di processi educativi non solo di ragazzi loro affidati ma anche di se stesse visto che non è possibile educare senza auto educarsi? Si capirebbe subito che trattasi di persone che si aiutano reciprocamente ad attualizzarsi e a perfezionarsi come educatori e come persone e che hanno quindi, continua coscienza del valore del gruppo che formano, di ciò che sono riusciti a diventare ed a fare e di quanto possano ancora migliorare.

(Carlo Braca, Auguri alla Comunità Capi in culla, Estote Parati, 1970, n. 144, pp.238-239)

 

Ne parliamo in Co.Ca… L’abbiamo deciso in Co.Ca.- : chi di noi farebbe senza la sua comunità capi? Se non ci fosse bisognerebbe inventarla! Per chi ci vede dall’esterno è il gruppo educatori degli scout, ma per noi… chi è la nostra comunità capi?

Selfie di Co.Ca.: volti sorridenti! Perché la comunità capi è un gruppo di persone. Non importa  il numero. Non ci siamo scelti e non abbiamo necessariamente legami tra noi. Qualcuno è amico, c’è anche qualche rapporto di parentela, ma è casuale. Siamo molto diversi per età, professione e stato di vita. Già qui la cosa si fa interessante: quante volte abbiamo benedetto la presenza in Co.Ca di chi ha particolari competenze o conoscenze, professionali o anche no. Michela è infermiera, Valter sa usare attrezzi di tutti i tipi, Anna ha  idee buone in ogni occasione e Giuliano i contatti giusti per il posto del campo, Manuel ormai diacono è prezioso per la catechesi, c’è chi è sposato, chi ha bimbi piccoli e chi è nonno. Quanta ricchezza di vita! Persone che, senza cercarsi, si sono incontrate non per caso: ciascuno ha fatto sua la scelta di essere un capo scout  e con fiducia è entrato nella comunità capi. La prima operazione da fare è proprio questa : accogliersi come doni che Dio manda a noi, ai ragazzi e allo scautismo. Bello questo riconoscersi dono perché PERSONE, con la propria vita, la propria storia: fa riflettere. Oggi preferiamo parlare di “adulti” per sottolineare la solidità necessaria per svolgere un servizio educativo. Questo termine, però, rischia di etichettare e marcare differenze tra chi si considera adulto e chi no, mentre siamo tutti impegnati a maturare nello stesso servizio di capi. Dire “persone”, come suggeriva Carlo Braca, non è, in fondo, più comprensivo, reale e rispettoso dei percorsi di ciascuno? Ci aiuta a guardarci con occhio più rispettoso. Non distingue tra generi ed età, ma accoglie ogni diversità e valorizza ognuno per se stesso.  Tanto più che ora le differenze tra generazioni, pur esistendo, non sono così definite come un tempo: pesa, più che l’età, la capacità o meno  di dialogo e di dare significato a ciò che si vive.

Persone che si affidano l’una all’altra. La fiducia è la dimensione della comunità capi. Perché siamo, prima ancora che educatori, cristiani e scout. L’altra sera in comunità capi, pregando con Manuel che ci segnava e profumava  con l’olio di nardo, si è sentito ancora una volta quell’“oltre” che supera i nostri limiti e ci permette non tanto di costruire comunità ma di esserlo già. Allora la correzione fraterna non è solo dirsi ciò che non va. D’altra parte, non essendo adolescenti, non ci si aspetta che sia l’altro a dirci cosa fare, visto che ciascuno è responsabile della sua vita e delle sue scelte. Correzione fraterna è “cum regere”, reggere insieme. Portare i pesi gli uni degli altri e anche caricarsi sulle spalle i pesi e i limiti degli altri, non permettere  che qualcuno si senta solo nel suo servizio. Quando gli altri non ci rinfacciano i nostri insuccessi, sopportano le nostre immaturità, dimenticano i nostri torti, perdono per noi il loro tempo, siamo corretti, custoditi, amati. Siamo fratelli. Nel rispetto, nella comprensione e nel perdono è più facile collaborare per mantenere il focus sui ragazzi, costruire processi educativi per loro e anche per noi, autoeducandoci  nel  servizio. E con-solidandoci. Allora la comunità capi stessa diventa dono per chi ne fa parte e anche per l’ambiente stesso che contamina.

Ma nel selfie della Co.Ca. c’è di più: fazzolettoni, uniformi, zaini. La nostra comunità è fatta di persone appassionate di vita scout: natura, esplorazioni, tecniche, fuochi di bivacco, strada condivisa… Per questo nella foto siamo così allegri!

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