A volte mi capita di guardare Marco con i lacrimoni e il ginocchio sbucciato, o Sofia che spiega ai fratellini le regole del suo gioco preferito pretendendo un assoluto silenzio, e di lasciar andare la mente a fantasticare sugli adulti che saranno. Se Marco sarà gentile con tutti, visto che ora è tanto un bravo bambino. Se Sofia sarà sicura di sé. Se avranno successo nella vita. Se saranno forti abbastanza. Se saranno felici. Provo proprio a figurarmeli mentre vivono la loro vita, con la barba o con i vestiti da adulti addosso, provo a indovinare come sarà la loro voce. Faccio questo gioco mentale e un po’ sorrido e un po’ tremo, perché penso alla grande responsabilità che abbiamo in questo gioco dell’educazione e anche a quella che non abbiamo, ossia alla capacità di riconoscerli sempre liberi di seguire la loro strada, di rifiutare la proposta, di sbagliare o di fare cento volte meglio di come non avremmo fatto noi. E quanti bellissimi strumenti abbiamo per abbracciare questa loro libertà, per aiutarli a mettere a fuoco e portare avanti i loro sogni. Non lo sapeva Lucia mentre, con le mani un po’ tremanti sulla caviglia della sua squadrigliera, cercava di ricordare il modo giusto di fare la steccatura che aveva appreso per la specialità, che quel bisogno di stare al servizio degli altri non se ne sarebbe andato mai più dalla sua vita. E neppure Lorenzo, che scriveva sempre il giornalino per il Reparto, sapeva all’inizio di avere un dono tale che quella penna non avrebbe potuto mollarla mai. Ma forse i loro capi un pochino sì. Non è forse per questo che cerchiamo di mettere in ponte quell’attività con quell’ospite così provocatorio e cerchiamo di spiazzare certe convinzioni traballanti basate sul sentire comune, per poi lasciarli ricostruire, per far venire fuori il nuovo, ciò che è davvero il loro sguardo critico sul mondo? E quando la scoperta avviene e, cuore a cuore, il ragazzo la mette nelle tue mani – «Kaa, da grande voglio fare la ballerina», «Io non ce la faccio più a stare qui, voglio girare il mondo», «Voglio andarci in quella Missione in Africa» – capiamo che siamo stati capaci di abitare quella relazione lasciando che i ragazzi fossero i veri protagonisti della loro storia.
Loro stessi sono prodotti e produttori, mescolano la magia di essere arte e artisti in contemporanea: garanzia di una magia assicurata. Inevitabile che tutto ciò sia avvolto da un mistero profondo che attira la nostra attenzione, di più, rappresenta una delle forze in gioco determinanti nel rapporto attrattivo tra educatore ed educando. Se è vero che nessun mago (leggi artista) rivela i propri trucchi e i propri sogni, i nostri ragazzi si raccontano nei più svariati modi, dai più esuberanti ed estroversi ai più timidi e chiusi in se stessi. Nel nostro educare organico noi miriamo a scoprire tutto del nostro giovane mago, ma proviamo qui a concentrarci sulla chiave disegnata nei minimi dettagli per la nostra serratura: il Sogno.
I sogni sono chiavi di lettura per interpretare il significato della vita di ciascuno di noi e anche quella dei ragazzi. Dobbiamo scorgere dietro l’ostinazione di diventare astronauta il bisogno di libertà, il desiderio di viaggiare, «nei loro capricci il buon umore e la facilità di sfuggire ai pericoli del mondo» (Goethe, I dolori del giovane Werther, 1774). Domandiamoci il perché di alcune necessità istantanee che insorgono nei pensieri e poi nella voce dei nostri fratellini. Cosa può dirmi l’impellente desiderio di dipingere la tana?
Per essere guide anche in questo campo che può apparire alle volte, astratto, perso in una lontana galassia, possiamo pescare direttamente dallo scautismo. Anche la trama del sogno più utopico può essere letta attraverso la struttura educativa-narrativa dei tre pilastri dell’esperienza formativa scout. Il sogno è scoperta, non solo del contenuto dello stesso, lo è nel momento in cui ci si scopre capaci di sognare. Per toccare con mano la fantasia di guardare lontano possiamo essere noi capi a offrire gli strumenti della competenza: dalla specialità all’impresa di squadriglia, fino al diario di una route, sono le idee concrete i primi segnali bianco rossi sul sentiero dei sogni. Infine, essere sognatori non significa essere evasivi, persi, ma saper scegliere dando concretezza alle proprie scelte con responsabilità, anche verso i traguardi più distanti.
Ricordiamoci che possiamo anche noi essere partecipi dei loro sogni, in tanti modi, personalmente penso al capo come uno di quei personaggi secondari che accompagnano l’eroe nell’epica avventura dal branco al clan. Siamo i Dr. Watson, i Virgilio, i Sancio Panza, i Samvise Gamgee, i Fratel Bigio – aiutanti, amici, fratelli in prima linea nel bene, nel male e nel così-così. Si scoprirà alla fine (o anche prima), che il sogno è la strada e non la meta, che è nel vissuto concreto che si realizza passo dopo passo la magia dei desideri più profondi. Last but not least, non dimentichiamo che per essere facilitatori di sogni dobbiamo essere a nostra volta sognatori.
[Foto di Nicola Cavallotti]
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