A Scuola di Futuro

di Alessandro Vai

«In questo momento i ragazzi avrebbero tutti i diritti di fare uno sciopero dei sogni. Mancano gli spazi di aggregazione, dove misurarsi con se stessi e con la propria voglia di vivere. Se ci fermiamo a questo piano rischiamo però di vivere il momento con tanta rabbia. Proprio i ragazzi possono invece battere un colpo».

Chiacchieriamo con Alessandra Falconi, responsabile del Centro Alberto Manzi, esperta di educazione ai media, che con RaiScuola ha curato il ciclo di trasmissioni Alberto Manzi. L’attualità di un maestro.

Ansie e preoccupazioni da un lato, programmi e aspettative dall’altro, sono un freno ai sogni dei ragazzi. Tornerà a esserci un buon tempo per sognare?

«Il momento è ora. In un mondo che chiede molto alla tecnologia, meglio di noi adulti i ragazzi sanno costruire narrazioni utilizzando i social, sanno videogiocare in modo costruttivo. Utilizzano le piattaforme digitali per costruire relazioni e starsi vicino provando tanta tenerezza. Vivono tutto ciò in un modo più ricco, direi anche migliore, rispetto agli adulti. Inoltre in questi giorni noi tutti sentiamo le fatiche tipiche di un adolescente. Siamo arrotolati in un presente che non ci soddisfa, viviamo situazioni che non sappiamo a cosa porteranno, mentre coltiviamo un’infinita voglia di futuro, senza però poterlo programmare».

I ragazzi possono quindi aiutarci?

«Con i loro sogni ci dicono che sono tante le ripartenze possibili, che forse noi adulti non vediamo perché abbiamo uno sguardo più stereotipato e guidato dalla somma delle nostre scelte quotidiane. Su questo possono davvero portare un vento di libertà».

Nel suo lavoro parla di sogni come esercizi di futuro. Può spiegarci bene?

«Oltre a delle basi culturali solide, per il maestro Manzi era fondamentale che i ragazzi imparassero a farsi un’idea con la propria testa e a confrontarsi, argomentando il proprio pensiero e ascoltando altri punti di vista. Comprendere un concetto e custodirlo per sé non serve a nulla. La cultura è condizione per emancipare le comunità, garantendo che tutti possano vivere bene assieme. Quando, partendo dai loro sogni, avviciniamo bambini e ragazzi alle domande serie e importanti della vita – quelle che fanno tremare le gambe anche a noi – e riusciamo a mediare la condivisione di quanto da loro compreso, allora stiamo facendo un esercizio di futuro. Il sogno di Manzi era che attraverso questi esercizi i giovani diventassero responsabili alla pari degli adulti delle comunità in cui vivono, chiamati a dare tutto il loro meglio, in sensibilità, creatività e conoscenza».

Da giovane, il maestro Manzi sognava di fare il capitano di vascello. Quanto è importante per i ragazzi tenere acceso il desiderio di sognare?

«Sognare rimane fondamentale. Anche se i sogni sono assolutamente folli, la loro assurdità può rappresentare il metro del desiderio di trasformare la realtà. Nel momento in cui questa trasformazione non opera per prepotenza, ma è appunto quella percezione di poter trasformare le cose perché prima di tutto possiamo trasformare noi stessi, allora possiamo guardare i nostri difetti e i nostri limiti e sentire che questi non sono tali sempre e comunque. E sforzarci così di usare ogni volta parole diverse per raccontarci in modi nuovi».

In concreto come possiamo aiutare i ragazzi a sognare?

«Manzi ci indica l’immagine di un educatore in grado di proporre uno sguardo poetico sulle cose, avvalendosi di immagini, parole, metafore che spostano il centro del discorso a un livello diverso, non immediato. Per imparare a farlo non c’è una strada unica. Probabilmente frequentare il mondo dell’arte e del teatro, dove questo sguardo di spiazzamento, nel re-intrepretare e ri-collocare le cose, è costantemente al centro, può essere un modo. Penso anche all’andare per scienze, però, nel momento in cui, partendo da una curiosità, ci mettiamo in ricerca, muovendoci da delle ipotesi e aspettando che la nostra creatività ci proponga una strada inesplorata».

Dobbiamo allora ritornare a studiare?

«In realtà a prend­erci cura delle nostre passioni. Dalla poesia alla pesca, dal cucinare all’osservare le stelle, questa capacità di uno sguardo che sogna, che trasforma l’immediato e l’ovvio, è nutrito dalle nostre passioni».

Questo può essere un buon consiglio anche per i nostri ragazzi?

«Bisogna custodire nelle proprie giornate un tempo sciolto, morbido, senza sensi di colpa se non hai lavato i piatti e non hai risposto alla mail, per cominciare a fare amicizia con la propria creatività, con i propri sogni, a guardarli da vicino e da lontano e a provare a tenerli tra le mani».

Il maestro di “Non è mai troppo tardi”

Alberto Manzi nasce a Roma nel 1924. Insegnante elementare per tutta la vita, educatore e pedagogista, ha curato sussidiari, libri di letture, diari scolastici e ha scritto oltre 30 romanzi, tra cui il famoso Orzowei. Per più di 15 anni, si è recato in Sud America ogni estate per tenere corsi di scolarizzazione agli indigeni. Il maestro

degli italiani è celebre per il programma TV Non

è mai troppo tardi,

esperimento di successo nella lotta all’analfabetismo degli adulti. Oggi il suo pensiero è portato avanti dal Centro Manzi (www.centroalbertomanzi.it) di cui è responsabile Alessandra Falconi.

Giovani, aspirazioni e domani

Sognare rappresenta uno sguardo nuovo sui ragazzi e sulle relazioni all’interno delle comunità. Come mettere a fuoco ragazze e ragazzi? Con al centro la relazione individuale, il nostro bagaglio da educatore può essere integrato da un’analisi dettagliata sulle generazioni che stanno diventando adulte nell’era post-covid. Questo propone, suffragato da statistiche e analisi, il Rapporto Giovani 2020 dell’Istituto Toniolo dedicato a La condizione giovanile in Italia (Il Mulino) di cui vi offriamo qualche brevissimo spunto consigliandovene la lettura.

I giovani provenienti da famiglie con status socioculturale più basso si espongono meno a esperienze formative informali, tra cui il volontariato, in grado di integrare trasversalmente la loro formazione.

In un clima di incertezza e preoccupazione, i giovani richiedono disponibilità a far partire processi collettivi positivi orientati al bene comune, innanzitutto rispetto all’ambiente e alla giustizia sociale.

Affiora una nuova polarizzazione tra giovani con buona formazione (convinti dell’efficacia partecipativa) e giovani con formazione più debole e visione incerta del futuro.

Nei giovani del Sud è maggiore il divario tra aspirazioni e possibilità di realizzazione dei progetti di vita e professionali. La spinta a lasciare il proprio territorio è dovuta soprattutto alla scarsa prospettiva di poter essere parte attiva del suo miglioramento. L’idea che nascendo nel territorio e nella famiglia sbagliata non si possa recuperare lo svantaggio iniziale rimane molto radicata.

La costruzione di buone relazioni, familiari innanzitutto, è la condizione per trasmettere ai giovani fiducia nel Paese e nel futuro. Ciò sta avvenendo, con toni accentuati nei suoi aspetti positivi e in quelli critici, soprattutto al Sud.

[Foto di Nicola Cavallotti]

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