Altrimenti la Comunità capi a cosa serve?
Quizzone: cosa hanno in comune Paolo, che c’era quando è stato fondato il nostro Gruppo ed è ancora oggi una colonna portante della Comunità capi, Sara, maestra dei novizi che fa l’avvocato, e Andrea, aiuto capo reparto che sta per finire l’università, con Chiara, capo squadriglia delle Pantere, e Lorenzo, che a inizio estate non vedeva l’ora di andare alle Vacanze di Branco? Vabbè dai, questa è facile. Tutto no? L’aria che respirano, la terra che calpestano. I modelli economici in cui vivranno, gli stereotipi che dovranno loro malgrado vestire o scrollarsi via. Sono generazioni in continuità, su cui ricadono le scelte più o meno sostenibili che facciamo ogni giorno. Secondo me c’erano proprio loro, così diversi e così uguali, nelle parole del Ministro Giovannini che ci parlava di giustizia fra generazioni e di sviluppo sostenibile, durante uno degli incontri di preparazione al Consiglio Generale (se non li avete visti, usate il QRCode di pag 17). Quello sviluppo che «consente alla generazione attuale di soddisfare i propri bisogni senza pregiudicare il fatto che le generazioni successive possano fare altrettanto». Una giustizia che abbiamo capito passare attraverso tante dimensioni, anche quella educativa, e che quindi come capi ci riguarda doppiamente. Una questione che si vive di comunità… Capi! Avete presente, no, quel posto dove si coltivano sogni e obiettivi in comune, dove a volte si bisticcia di brutto ma ci si tiene per mano, e soprattutto si mette insieme una Comune di competenze ed esperienze; soprattutto in questo tempo in cui i campi di formazione sono difficili da organizzare, e tanti capi hanno come sola palestra di formazione proprio la Comunità capi. Lì si cammina verso questo futuro educativo sostenibile come staffettisti tra generazioni, cercando di dare tutto durante il nostro pezzetto di pista, abbracciando il testimone che ci viene lasciato, e pronti poi a riporlo nelle fidate mani dei nuovi capi sognatori che ci seguiranno. Sembrerebbe facile a dirsi eh, finché non ci si trova a settembre a scambiarsi qualche sguardo preoccupato mentre si spostano i nomi qua e là sul cartellone del quadro capi che proprio non vuole tornare. Ma dalla nostra c’è che abbiamo chiara in testa questa corresponsabilità che scorre tra tutti noi verso quell’unità che è rimasta mezza scoperta o con soli capi tirocinanti. So che al momento giusto tutti guarderanno nei loro bagagli di competenze e di esperienze, nelle loro agende già strabordanti e, come per magia, troveranno quel ritaglino di tempo per mettere in piedi quel trapasso di nozioni che si era perso per scarsa pianificazione negli anni precedenti, per quella telefonata su una certa «situazione incasinatissima che non so proprio come gestire». Perché è questo che siamo come comunità, un tutt’uno su cui si costruisce la Progressione personale unitaria di ognuno dei nostri ragazzi, altrimenti resterebbe solo un agglomerato di varie staff che ogni tanto si vedono e fanno debriefing. Il pericolo di frammentarsi in questo modo spesso è dietro l’angolo; perché ogni staff alla fine ha le sue dinamiche e i suoi punti di riferimento, perché si rischia a volte di sentirsi padroni del Metodo e di ogni situazione di quella determinata branca, fino a trovare addirittura difficoltà a doverla cambiare anche se necessario, in una sorta di campanilismo inutilmente divisivo. Non so se tutto questo suona lontano dalla vostra esperienza (nel caso sono felicissima per voi, passate pure al prossimo articolo!) oppure se vi siete trovati a vivere dinamiche simili, se ci state dentro fino al collo ora che arriva un nuovo anno scout e bisogna ripartire. Non vi so dare una soluzione facile a tutto questo, ma vi assicuro che mi ci sono lambiccata il cervello per pomeriggi interi, con in testa ciascuno dei capi della mia Comunità capi, coi suoi bisogni e le sue convinzioni; tanto rimuginare per capire che ciò che si deve fare sia semplicemente condividere, condividere il più possibile. Camminare insieme e farci conoscere con i nostri progetti, le nostre aspettative, e soprattutto quelle dei nostri ragazzi. Con le nostre paure e i nostri punti deboli, cercare di essere sempre quella mano tesa per dare un aiuto, che tanto alla fine, si sa, ci torna sempre indietro moltiplicata per cento. Perché è così che si fa comunità, ed è così che si guarda lontano. E vedrete che con tutta questa fatica alla fine questo mondo lo lascia migliore, e il futuro sostenibile, insieme, si fa.
[Foto di Nicola Cavallotti]
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