Il verbo “educare” è difficile da trattare: fa pensare all’idea di plasmare secondo modelli, di adeguare l’oggetto alle aspettative dei più. Nella migliore delle ipotesi rimanda a una azione che consisterebbe nel “tirare fuori” il buono che c’è in ognuno. Sembra così, in entrambi i casi, che il protagonista dell’educazione sia l’educatore. Il protagonista assoluto invece è ogni individuo in crescita, che contiene in potenza tutto ciò che potrà essere. All’educatore spetta il compito di chiedere per capire, di credere nella sua parte migliore e di accogliere responsabilmente il privilegio di accompagnare. È un po’ come quando accendiamo il fuoco di bivacco: mettiamo l’esca e soffiamo sulle braci. A volte la legna è umida, non prende. Ma continuiamo a soffiare, perché crediamo in ogni singolo tronco. Chiediamo ad altri di soffiare piano insieme a noi. Indirizziamo bene il fiato, a volte prendiamo respiro, per ossigenarlo e per non rimanere affumicati. Poi parte la prima fiamma e non si sa bene come sia successo o per il soffio di chi. È un’arte discreta: chiede di togliere più che mettere, di tacere più che di parlare, di osservare più che agire, di custodire più che trattenere e infine di chiedere più che di rispondere; affinché ogni persona che ci cammina accanto desideri non tanto di assomigliarci (che noia!), ma di incontrare la parte migliore di sé.
1. Scusate la domande
2. L’educazione è la strategia più lenta per cambiare il mondo
3. Però i metodi di una volta funzionavano meglio
4. Educare si può solo insieme
5. Yes, please; No, thank you…
6. Io sono la Via, la Verità e la Vita
7. Un capo è per sempre 8. Permesso, grazie, scusa
9. Educhiamo? Due ore in settimana?
10. Loro i miei follower, io il loro influencer
[Foto di Andrea Pellegrini]
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