Circa un secolo fa, finita la cena, una bambina fece per andare in camera a mettersi il pigiama. Quella sera però suo padre la richiamò indietro e le propose di andare in piazza. Poco dopo erano seduti a un tavolino all’aperto di un bar. Qualcuno spinse fuori dal locale una grande scatola. Armeggiò con qualche manopola e di colpo l’aria si riempì di musica. Era la magia di un’opera e della prima radio accesa nella piazza di Cittadella. La bimba, mia nonna, dopo novant’anni si commuoveva ancora. È una metafora di internet. Ma internet non è la radio, né il bar: internet è la piazza.
Scrive Padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica: internet non è “uno spazio parallelo, ma uno spazio antropologico interconnesso in radice con gli altri della nostra vita”. La conoscenza di come ci si muove in questo luogo è cultura digitale, non “competenza tecnologica”. Perché internet non è un lettore di DVD, non c’è manuale di istruzioni. Ci siamo noi, dentro.
I social network sono il tessuto connettivo di questa rete di persone che vogliono ascoltare ed essere ascoltate. Il modo in cui comunicano queste persone è particolare: in internet non c’è un tempo limitato entro il quale si deve scegliere cosa dire, non c’è una pagina entro la quale stare. Non esiste il concetto della scaletta del telegiornale perché l’idea di fruire delle informazioni che sono su internet in una sola sequenza predefinita è semplicemente impraticabile. I contenuti su internet restano tendenzialmente all’infinito e possono essere visti secondo sequenze diverse. Si tratta di differenze strutturali nel modo in cui si comunica. Differenze che stanno determinando un complesso di “caratteristiche etiche” di questo tipo di comunicazione:
Essere, non farci
Su internet le bugie si smascherano in un lampo. La finzione, “dare un’idea di essere” senza essere veramente, diventano terribili boomerang.
Lasciarsi cambiare
La rete tende a marginalizzare i propri nodi “non dialoganti”: gli algoritmi dei motori di ricerca li escludono, le persone non diffondono questi contenuti attraverso i social network. Chi non è disposto a dialogare e a lasciarsi cambiare dal dialogo viene escluso.
“Testimoniare”, non “rappresentare”
Scrive Charlie Beckett a proposito di internet: “se tu dichiari un corpus di principi etici che non sono tradotti in prassi, sarai chiamato a darne conto. In questo senso il medium è il messaggio etico”. Ogni moralismo è inefficace in rete.
Far circolare fiducia
Nel mondo fisico c’è sempre poco spazio e poco tempo a disposizione. In internet chiunque può prendersi lo spazio e il tempo necessari a comunicare. Si crea così, strutturalmente, una sovrabbondanza di informazioni, un “rumore informativo” il cui unico antidoto è la fiducia. Scegliere le fonti in base alla fiducia che queste si meritano.
La scelta
Nell’ambiente digitale è difficile scegliere: non solo c’è “rumore informativo”, ma in aggiunta (al contrario di quanto tendeva ad avvenire nei media tradizionali) ogni contenuto deve essere considerato falso fino a prova contraria. Scegliere il messaggio e la fonte a cui dare fiducia è possibile solo attraverso un’esplorazione, una ricerca, un confronto. La capacità di scelta è l’abilità di connettere i punti dell’informazione reticolare.
La corporeità
È sempre Spadaro a notare che i rapporti mediati dalla rete sono monchi se non si concretizzano in rapporti reali fra le persone in carne ed ossa. Gli educatori devono aiutare i ragazzi a capire quando viene il momento di spegnere il computer e andare incontro ad una persona nella sua corporeità. La corporeità non sono solo i cinque sensi, ma la capacità di vivere uno spazio-tempo lineare.
La coerenza
Per aiutare i ragazzi a definire la propria “persona digitale” in maniera consape- vole occorre educare alla continuità fra la persona fisica e la persona digitale. Che è poi una prosecuzione dell’idea che si resta scout anche quando ci si leva il fazzolettone dal collo.
Allora se abbiamo cominciato il racconto con un papà che porta la sua bimba in piazza, il modo migliore per chiuderlo è con l’immagine di un bimba che prende per mano il suo papà e lo porta a scoprire insieme un’altra piazza: quella digitale. È questa la nostra occasione come educatori. Portiamo con noi i nostri sogni, le nostre speranze e la volontà di imparare nuovi modi per lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato. Fiduciosi. Perché si tratta di un mondo fatto dall’uomo. E crediamo che l’uomo sia buono.
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di Federico Badaloni
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