La Depressione nel Bambino

L’anteprima di PE WEB.
Che cos’è la depressione? Esiste e se ne può parlare anche per i bambini e per gli adolescenti? In questo articolo Silvana Cremaschi, Neuropsichiatra Infantile, ci spiega la depressione vista dai nostri ragazzi.

L’articolo che trovate in questa pagina è la versione estesa di quello presente sulla rivista cartacea.

Che cos’è la depressione?

Nell’adulto la depressione è descritta come entità clinica definita caratterizzata da un’alterazione del tono dell’umore,  da riduzione dell’attenzione e della concentrazione, da riduzione dell’autostima e della fiducia in sé, da idee di colpa e d’inutilità, da una visione pessimistica del futuro, con eventuali  idee o atti d’autoaggressività o di suicidio, disturbi del sonno e diminuzione dell’appetito.
La tensione psicologica correlata con questo stato emotivo tende a distaccarsi dalla relazione con l’esperienza negativa per divenire “l’affetto” predominante che colora la vita e l’esperienza di un grigio opprimente pur in assenza di un lutto.
Si suppone che il disturbo depressivo si sviluppi nell’ambito di una vulnerabilità o  predisposizione correlata ad aspetti genetici; per manifestarsi ha “bisogno” di  condizioni  ambientali sfavorevoli o condizioni di vita non protettive; insomma  depressi un po’ si nasce e un po’ si diventa. Gli elementi genetici possono interagire infatti con un contesto ambientale sfavorevole (lutti reali di persone care  o perdite affettive,  esperienze sfavorevoli di vita nel contesto della vita familiare, scolastica,  di relazione…) comportando  alterazioni strutturali e funzionali dei sistemi coinvolti nella regolazione dell’umore.  

Si può parlare di depressione anche per i bambini e gli adolescenti?

La validità del concetto di “disturbo depressivo” nel bambino è stata molto discussa tra i teorici e i clinici riguardo alla possibilità che i bambini siano in grado di sperimentare stati depressivi che durino nel tempo. Manca, infatti, la capacità nel bambino piccolo di comprendersi e descriversi come depresso perché ancora non è sviluppata la capacità introspettiva e di astrazione del pensiero. Nel bambino pertanto la depressione più che percepita, viene agita ed espressa attraverso la “mimica” del volto, attraverso gesti e comportamenti; nello stile motorio, o con disturbi somatici, o della sfera scolastica e sociale. Ancora controversa è la valutazione sulla possibile continuità tra la depressione del bambino e quella dell’adulto, infatti non è sicura la continuità (non tutti i bambini depressi diverranno adulti depressi), mentre è verificato che la maggior parte degli adulti che soffrono di depressione ricordano e descrivono sintomi depressivi anche nell’infanzia o  in età adolescenziale. 

Quanti sono i bambini e gli adolescenti depressi?

Negli ultimi decenni risulta aumentata l’incidenza e diminuita l’età di esordio della popolazione in età infantile. L’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2004 riporta i seguenti dati: 0.3-1% in età prescolare (0-6 anni) , 0,4-2,5% in età scolare (6-11 anni), 4-8,3% in adolescenza (12-18 anni).
La distribuzione per sesso non è chiara, anche in questo caso gli studi danno risultati differenti, paiono concordanti invece gli studi che dimostrano una diversa scelta del sintomo più adatto ad esprimere la depressione nei maschi e nelle femmine: le bambine mostrano, infatti, più gli aspetti di inibizione con tendenza alla ruminazione e alle fluttuazioni del tono dell’umore, i maschi presentano soprattutto difficoltà a stabilire un contatto, tendenza all’isolamento, difficoltà scolastiche ed irritabilità con comportamenti oppositivi. Il rapporto tra maschi e femmine è 1:1 in età prescolare e scolare, 1:2 negli adolescenti.
La frequenza di disturbo depressivo aumenta dunque con l’età e diviene più evidente nelle ragazze rispetto ai ragazzi in adolescenza;  spesso infine la depressione degli adulti  esordisce in adolescenza (il 50% degli adulti depressi riferisce il 1° episodio depressivo prima dei 18 anni).
Alcuni studi indicano che l’aumento riscontrato dai clinici di forme lievi di depressione e ad esordio in età evolutiva possa essere da collegare in parte ad una maggiore attenzione degli adulti alla possibile comparsa di problemi nei bambini  ma in parte  anche al fatto che le condizioni di vita attuali sono maggiormente in grado di “slatentizzare” una possibile depressione anche e soprattutto in età evolutiva (immigrazione e ricongiungimenti familiari, separazioni conflittuali tra i genitori, assenze prolungate dei genitori per lavoro, distanza fisica da figure parentali protettive come i nonni e/ o parenti della famiglia allargata, mancanza di figure di riferimento costanti, aspettative elevate nei confronti dei bambini per il rendimento scolastico e sportivo…). 

Si possono individuare le cause della depressione?

Ancora più complesso che nell’adulto è lo studio sull’incidenza di fattori endogeni (interni) e di fattori ambientali esterni.  Numerosi fattori sono stati correlati con l’esordio e la durata degli episodi depressivi: in particolare fattori demografici (età, sesso, status sociale) psicopatologici (diagnosi precedenti, stile cognitivo negativo…) familiari (psicopatologia dei genitori… modalità e stili relazionali inadeguati…) psicosociali (eventi di vita stressanti, perdite, lutti…).
Gli studi sulle famiglie dimostrano che il rischio di depressione nei figli di genitori depressi è più di tre volte il rischio presente nella popolazione generale ma non è chiaro quanto questo rischio sia da correlare a fattori genetici e quanto a fattori emotivi e relazionali.
I fattori familiari possono intervenire, infatti, in diverso modo nell’influenzare il comportamento infantile; la depressione del genitore può creare un meccanismo di identificazione del bambino con un genitore che esprime modalità di relazione difensive e scarso contatto affettivo con il figlio. Genitori in difficoltà possono  scaricare sul bambino impotente la loro tensione; il bambino può essere allora in difficoltà a gestire la aggressività fisiologica non trovando un “porto sicuro” che possa accoglierla.
Queste tendenze alla depressione nel bambino che vive in una famiglia con un genitore depresso paiono essere dovute soprattutto all’interazione tra quel dato genitore, in quel dato momento del suo ciclo vitale, in relazione con quel determinato figlio.
Le caratteristiche comportamentali del bambino influirebbero a loro volta la relazione nel facilitare o rendere meno immediate le reazioni empatiche di attaccamento da parte del genitore.
In conclusione si ritiene che fattori genetici siano sicuramente importanti nella predisposizione alla vulnerabilità del bambino alla depressione ma che la comparsa della malattia sia da correlarsi con l’associazione di diversi fattori che riguardano le caratteristiche genetiche e comportamentali da un lato e la presenza di eventi stressanti e di esperienze di perdita nelle fasi precoci della vita, e soprattutto con i modelli relazionali e di attaccamento tra genitori e figli. 

La depressione del bambino si manifesta come la depressione dell’adulto?

Il confronto tra i sintomi di depressione manifestati dai bambini e dagli adulti evidenzia differenze sia tra bambino e adulto sia tra bambini nelle diverse fasce d’età. Inoltre nel bambino, anche in situazioni depressive conclamate la sintomatologia può essere distinta in sintomi tipici ed atipici:
Sintomi simili a quelli dell’adulto e quindi più facilmente riconoscibili da parte di genitori, educatori o personale sanitario sono: prostrazione, isolamento, inibizione motoria, aspetto triste, pianti, noia, indifferenza, svalorizzazione di sé, difficoltà di attenzione e concentrazione e memorizzazione;
ma spesso il bambino mostra comportamenti che vanno letti come una difesa autocostruita contro i vissuti depressivi… e in questo caso è molto più difficile un’identificazione corretta ed una presa in carico tempestiva: ecco allora che compaiono comportamenti turbolenti, instabilità motoria e psichica che va interpretata come una difesa del bambino che nega o cerca di superare in un tentativo di autocura la sofferenza e l’affetto depressivo; altri comportamenti caratteristici sono spesso diagnosticati come condotte di opposizione perché si presentano con collera, rabbia, manifestazioni aggressive contro i genitori o i compagni, condotte di protesta o di rivendicazione, furti, fughe, condotte delinquenziali…
I sintomi più frequenti sono infine molto lontani da quelli caratteristici delle depressione dell’adulto: questi bambini o bambine spesso non vengono segnalati ai servizi perché non si fanno sentire, non urlano la loro protesta ma si presentano troppo docili, passivi, sottomessi all’adulto; spesso hanno un aspetto trasandato o poco curato, accumulano insuccessi scolastici, piccoli infortuni ed incidenti,vengono spesso puniti, inducono nell’adulto sentimenti di fastidio più che di protezione o cura… In questi casi incidenti, ricerca di punizioni, piccole condotte autolesive vanno considerate prove di un sentimento di colpa o di un bisogno di autopunizione. 

Quali possono essere i segnali spia di un disturbo depressivo nel bambino?

E’ importante non “banalizzare” ritenendo che sia possibile individuare la depressione in base a singoli comportamenti; in neuropsichiatria infantile si ritiene attualmente che sia importante una valutazione “dimensionale” cioè la comprensione globale dei vissuti e dei sentimenti di una persona in un “continuum” tra normalità e patologia, che definisce la presenza di un problema in base al grado e al livello della sofferenza individuale e non solo in base alla presenza di determinati segnali o sintomi caratteristici della “malattia”- valutazione “categoriale”.
Fatte queste premesse è possibile individuare alcune caratteristiche specifiche nelle diverse età.
I sintomi espressi dal bambino piccolo (18-36 mesi) sono soprattutto sintomi somatici con anoressia, disturbo del sonno, episodi diarroici ed eczema; in situazioni di gravità si riscontra un ritardo di sviluppo psicomotorio ed un’incapacità di rispondere alle interazioni sociali
In età prescolare sono più comuni le forme caratterizzate da sintomi ansiosi associati a labilità nel tono dell’umore o le forme di inibizione con pseudoinsufficienza mentale; i bambini non manifestano in genere sentimenti di tristezza in modo esplicito ma mostrano comportamenti caratterizzati da mancanza di allegria, instabilità, irritabilità, o disturbi somatici.
In età scolare (6-11 anni) i bambini riescono in parte a verbalizzare il proprio stato d’animo, che emerge in giochi, sogni, disegni (fantasie di morte, bassa autostima, sentimenti di perdita e di abbandono, sensi di colpa, sentimenti di non essere amato o di essere rifiutato dagli altri).
Si osserva la tendenza ad annoiarsi in attività piacevoli per l’età o precedentemente piacevoli per il soggetto, difficoltà relazionali con i coetanei, problemi comportamentali (aggressività, oppositività, impulsività, bullismo, menzogna, fughe…) rallentamento, goffaggine, difficoltà scolastiche.
Possono presentarsi lamentele somatiche. Comuni sono anche le forme che vengono definite equivalenti depressivi o depressione mascherata (instabilità psicomotoria, aggressività, comportamenti velatamente autolesionistici). 

Come si presenta la depressione in adolescenza?

In adolescenza i comportamenti, gli atteggiamenti, i sentimenti depressivi sono estremamente comuni ed entro certi limiti, considerati fisiologici. L’adolescenza, infatti, in sé è considerata un’esperienza di lutto: un lutto nei confronti della perdita del proprio sé bambino, del proprio corpo infantile, dei sogni e dell’idealizzazione nei confronti del mondo adulto… la “tristezza e la malinconia” dell’adolescente fanno parte del compito evolutivo dell’auto-osservazione e dell’introspezione necessaria per compiere il cammino verso l’individuazione. Si parla di depressione dell’adolescente quando i sintomi soggettivi come la sofferenza, la perdita dell’autostima, le difficoltà sociali, scolastiche, diventano eccessivamente opprimenti e portano ad un aumento eccessivo dell’aggressività, o a inibizione ed ipoattività. Accanto a forme depressive classiche si trovano forme regressive o passaggi rapidi tra manifestazioni adulte e manifestazioni infantili. Soprattutto in questo periodo le idee suicidarie possono essere molto presenti e pericolose. Gli adolescenti che presentano forme depressive associate a rapidi passaggi tra umore depresso ed eccitazione maniacale corrono particolari rischi per la tendenza ad agire direttamente gli impulsi aggressivi o autoaggressivi. Per questi adolescenti alcune situazioni, alcuni momenti della vita, paiono assolutamente senza sbocco e senza speranza, e la vita, la relazione con gli altri, appare, a tratti, come un problema insolubile.
I ragazzi a questa età manifestano i vissuti depressivi in modi più simili agli adulti; possono manifestare tristezza/irritabilità, anedonia (mancanza di piacere), passività sia motoria sia ideativa, sentimenti di inferiorità, preoccupazioni per l’aspetto fisico, isolamento sociale, disturbi somatici, perdita di energia, stanchezza, reazioni aggressive e passaggi all’atto: fughe da casa o da scuola, comportamenti antisociali, abuso di alcool o droghe, pensieri di morte, ideazione suicidaria, tentativi di suicidio, sintomi psicotici come deliri ed allucinazioni. 

E’ possibile guarire dalla depressione?

Possiamo prevedere una evoluzione benigna quando possiamo correlare i sintomi depressivi con un quadro di reazione depressiva acuta; in questo caso i bambini presentano in genere una storia di vita e di relazioni relativamente normale che si è modificata in seguito ad un’esperienza di “perdita” e  la famiglia riesce a sostenere la sofferenza del bambino.
I bambini invece che presentano una reazione depressiva cronica presentano, nel periodo precedente la malattia, una storia di adattamento sociale precario associata spesso ad esperienze ripetute di perdite e separazioni. Spesso la depressione del bambino e quella del genitore incominciano contemporaneamente e si rinforzano reciprocamente. Queste ripetute perdite dello stato di benessere creano una situazione di ansia rispetto al futuro, o di rinuncia a cercare il soddisfacimento del desiderio, o di sforzo ostinato a recuperare ad ogni costo la condizione di benessere perduta; il sentimento di ostilità, connesso con la sensazione di impotenza nell’ottenere il risultato, in assenza di un oggetto affettivo contenente, può essere rivolto allora contro se stesso, contro un sé che non può essere amato o che viene odiato perché incapace di dare soddisfazione.
La ripetizione dell’insuccesso e l’impossibilità a trovare un ascolto attento dei vissuti porta allora all’esperienza che viene definita learned helplessness (impotenza acquisita) un atteggiamento metacognitivo che attribuisce l’insuccesso a fattori globali, interni, non modificabili di fronte ad un ideale dell’io irraggiungibile. 

Che fare?

Quando si rilevano segnali di malessere nei bambini e nei ragazzi è importante in primo luogo fermarsi e riflettere. Il ragazzo che presenta comportamenti aggressivi, che utilizza sostanze, o che si ritira, rifiuta le attività, si isola … che sentimento sta vivendo, che cosa sta sperimentando nei confronti di se stesso, dei coetanei, dei genitori? Sta chiedendo aiuto,  forse in modi difficili da comprendere per gli adulti? Sta comunicando che non vede vie di uscita?
Prima di intervenire, di agire in qualche direzione, è importante ascoltare; a volte l’esperienza di poter parlare di sé, la possibilità di avere una persona che dedica del tempo a cercare di capire, che non giudica, che non dà consigli non richiesti, che semplicemente è “presente” e dimostra di provare un reale e profondo interesse diviene un’ancora che ferma la sensazione di vuoto e di inefficacia e permette di riattivare le proprie risorse interne.
Credere nel gruppo. Gli studi sui rischi di vissuti depressivi e sui rischi suicidari dimostrano che “appartenere” a qualcuno, far parte di un gruppo, sentirsi “dentro” una rete di relazioni ha una fortissima valenza protettiva.
Non sentirsi onnipotenti e non sostituirsi ai genitori. I bambini, i ragazzi, quando ci chiedono aiuto in modo esplicito, spesso ci raccontano di vivere male le relazioni con i familiari. Questa emozione va ovviamente ascoltata con attenzione, ma dobbiamo sempre ricordare che noi “siamo di passaggio nella vita dei ragazzi” mentre i genitori e i familiari resteranno stabili. I ragazzi hanno bisogno dei loro genitori, hanno bisogno che i genitori, con le loro caratteristiche, competenze, limiti, diano loro la certezza di proporsi come “porto sicuro” a cui tornare.
Non cadere nel tranello del segreto: spesso i ragazzi ci chiedono preventivamente di garantire che manterremo il segreto rispetto alle confidenze che intendono fare. E’ importante che specifichiamo subito, prima che i ragazzi ci parlino, che manterremo la riservatezza, ma che sicuramente parleremo con i genitori se avremo un dubbio relativo alla loro incolumità. Non dobbiamo avere paura, basta essere chiari ed accoglienti perché i ragazzi si fidino di noi e capiscano che non li tradiremo ma che li aiuteremo a ritrovare nei genitori e con i genitori la forza per continuare a vivere.

di Silvana Cremaschi, Neuropsichiatra Infantile

Note Bibliografiche:

  • Ajuriaguerra J.de, Manuale di psichiatria del bambino. Masson 1981
  • Brazelton T.B. Nugent J.K., La scala di valutazione del comportamento del neonato. Masson 1997
  • Guareschi Cazzullo A. e col., Neurologia e psichiatria dello sviluppo. McGraw-Hill1998
  • ICD 10, Decima revisione della classificazione internazionale delle sindromi e dei disturbi psichici e comportamentali OMS. Masson 1994
  • Linee guida depressione età evolutiva,  SINPIA (linee guida)
  • Lebovici S. Weil-Halpen F., Psicopatologia della prima infanzia. Bollati Boringhieri 1994
  • Marcelli D. Bracconier A., Adolescenza e psicopatologia. Masson1996
  • Orbach I., Bambini che non vogliono vivere. Giunti 1991
  • Zeanah C.H.Jr., Manuale di salute mentale infantile. Masson 1998

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