La dimensione politica del servizio
Vivere il servizio in branca R/S significa ricercare gli infiniti modi per rendere l’esercizio del dono uno stile naturale, capace di entrare in armonia con l’altro.
Un orecchio da allenare
Come per la musica, anche per il servizio ci vuole orecchio. Si tratta della capacità di mettersi o meglio e ancor più di rimanere in ascolto di quanto ci circonda e degli altri: è una capacità che necessita di allenamento. E le occasioni sono molte: l’esperienza della comunità educa alla costruzione di relazioni empatiche, a essere capaci di cogliere i bisogni e le fatiche dell’altro e di limare i propri per farsi prossimi. La strada è occasione di incontro con il mondo reale, oltre il contesto protettivo della propria cerchia: è bene fare esperienza delle cose belle da un lato e di quelle che belle non sono dall’altro. Allenare gli occhi e il cuore alle stonature della realtà è un passaggio importante per riconoscerle e non rimanere inerti di fronte ad esse.
Occorre suscitare l’esigenza non solo di vedere, ma anche di capire, di chiedersi ragione e di interrogarsi su come portare un contributo.
Uno strumento da accordare sulla nota della gratuità
Proporre il servizio ai ragazzi e alle ragazze significa invitarli a guardarsi attorno, aiutarli a riconoscere i bisogni intorno a loro; significa stimolare il desiderio di entrare in sim-patia con l’altro e cioè di condividere i sentimenti, la gioia come le sofferenze. E ancora significa suscitare la domanda “e io cosa posso fare?” e poi costruire occasioni per dare risposte concrete.
È importante proporre esperienze differenti di servizio, non solo per aiutare a capire quali sono i contesti più consoni a ciascuno, ma per allenare tutte le capacità, per imparare a riconoscere i suoni del bisogno, per rendere naturale il desiderio di farsi prossimi dell’altro, chiunque sia.
In questo percorso non sono “io” il centro. Il mio sguardo ed il mio orecchio sono sempre rivolti a ciò che è altro da me. Divento strumento di servizio e non suono per me, ma per l’altro. Ecco l’importanza della dimensione della gratuità. “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo” (LC 15,31): come dire che non ha senso misurare l’amore o riportarlo ad un tornaconto.
La progressione personale si attua non tanto perché il rover e la scolta “scelgono il servizio che fa per loro”, quanto perché mettendosi in gioco nei bisogni della vita che li circonda affinano competenze e sensibilità e si rendono utili.
Il piacevole effetto collaterale è che praticando il dono, mi ritroverò arricchito senza averlo programmato a priori. Quel fare “per” qualcuno diventa fare “con”: sfuma la distinzione tra chi dà il servizio e chi ne fruisce, tra salvati e salvatori. Diventa invece più rilevante la relazione che si è venuta a creare nell’incontro e nel pezzetto di strada condiviso.
Dalla melodia alla sinfonia
Il servizio non può rimanere una questione del singolo, ma deve diventare un’esperienza comunitaria.
Insieme diamo uno sguardo a ciò che ci circonda, a quali esigenze ci interpellano. Insieme possiamo anche decidere come dare la nostra risposta, attraverso la nostra comunità, ma anche poi in rete con altri che hanno carismi particolari.
Diventa più facile guardare alla dimensione politica del servizio, emerge l’idea che dai problemi si può uscire insieme. Insieme attiviamo processi positivi, che nascono dal dono di ciascuno, ma che si irrobustiscono attraverso le interazioni con gli altri. Ci rendiamo conto che il bene comune si costruisce con l’attenzione a non lasciare indietro nessuno. Diventiamo consapevoli che non siamo i soli a poter portare un contributo: e questo diventa allo stesso tempo lezione di umiltà e segno di speranza. Allora ci facciamo sentire, chiediamo aiuto a qualcun altro, facciamo risuonare magari anche nelle istituzioni i bisogni che abbiamo osservato e accompagnato, perché i diritti di chi è più fragile trovino eco dove è opportuno.
Quell’insieme di note va oltre la melodia del singolo strumento, prova a divenire sinfonia.
[Foto di Alessandro Gregnanin]
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