Incaricati nazionali branca R/S
Solidali ci chiama la città dell’uomo: le parole di questa (arci)nota canzone sono oggi più che mai vere e attuali. Ricercare la spinta a camminare insieme nella società attuale (in maniera solidale nel senso meccanico del termine, unitamente gli altri) è un’urgenza e non esiste contesto in cui il tentativo di un moto proprio non sia, alla lunga, fallimentare e distruttivo. E tuttavia non è solo più la città, cioè l’insieme dei cittadini, degli uomini, che ci chiama a questa solidarietà. Ci stiamo accorgendo (forse lentamente?) che non possiamo più considerare la Terra come qualcosa di immutabile e perennemente capace di erogare risorse.
Il Coronavirus l’ha reso quanto mai evidente. Non siamo i padroni indiscussi di quanto accade sotto il cielo, non è tutto sotto il nostro controllo o a nostra disposizione.
Allo stesso tempo siamo direttamente responsabili del nostro impatto – sanitario o ambientale che sia, il ragionamento non cambia – a livello personale e comunitario. L’uomo, la natura, le società: tutto è connesso.
Anzi, la sensazione è che anche la tendenza a “virtualizzarci”, a distaccarci in qualche maniera dalla realtà concreta finisca in qualche modo con l’essere dannoso.
Ecco allora che il tradizionale feeling con la natura che contraddistingue il nostro essere scout oggi assume non solo i tratti di un elemento distintivo, ma anche un bisogno che emerge sempre più nell’educazione dei nostri ragazzi.
Siamo chiamati a proporre ai giovani il punto della legge “amano e rispettano la natura” nella dimensione di un orizzonte, di un approccio da conquistare perché foriero di benefici non solo nel breve periodo, ma anche a lungo termine. La vita all’aria aperta è oggi un elemento determinante del metodo scout che non solo non deve essere perduto, ma più che mai necessita di essere valorizzato.
A questo punto, la tentazione è forte… in branca R/S alla fine si torna sempre a parlare di strada.
La buona notizia è che quando ci si mette sulla strada difficilmente si sbaglia, tuttavia non tutto è gratis. Con quale consapevolezza proponiamo la strada ai nostri rover e scolte? Ecco il primo ossimoro da superare (lo avrete notato due righe più sopra): parlare di strada.
Oggi più che mai i giovani hanno bisogno di recuperare un contatto fisico con l’esistenza. L’esperienza del camminare nella natura aiuta a rimuovere quel “virtuale” così spesso accostato alla parola realtà. Si tratta di esperienza vera, non solo perché si sperimenta la fatica del portare lo zaino e del raggiungere un traguardo, ma anche per la relazione con quanto ci circonda.
In route scopriamo che “da qui a lì” quasi mai è una linea retta. Nessuna route (ma ancor di più quelle in montagna) è fattibile senza provare a maturare una conoscenza dei luoghi che si incontreranno, senza fare ipotesi sulle situazioni meteorologiche che troveremo, senza mettere a confronto le nostre capacità e i nostri mezzi con la fattibilità del percorso, senza provare ad individuare le risorse che la natura ci potrebbe mettere a disposizione. Questo “bagno di realtà” non sempre è facile, ma è assolutamente necessario.
L’arte del capo sta nel trovare l’equilibrio tra l’aiutare i ragazzi a conoscere e costruire in maniera competente le loro route da una parte e non lasciarli completamente allo sbaraglio dall’altra.
Ancora nella natura possiamo sperimentare la dimensione del dono, si potrebbe dire in maniera primitiva: quanto ci circonda esiste indipendentemente da noi, non lo abbiamo chiesto, né tanto meno lo abbiamo meritato.
Entrare in contatto con la bellezza del creato è di per sé fare esperienza di gratuità. Lungo la strada, poi quell’esperienza diviene sublimata.
Quella bellezza ci è stata consegnata in maniera gratuita, ma non possiamo viverla da meri consumatori, non è a portata di click. Esige un approccio differente.
Non siamo i proprietari del giardino, bensì i custodi e pertanto siamo chiamati a essere buoni amministratori.
In quest’ottica la ricchezza non viene dalla capacità di accaparrare risorse, né dalla possibilità di fruirne senza limiti. Al contrario la prosperità è possibile solo in una dimensione simbiotica con la terra.
Questo esercizio di contemplazione alla fine ci ridimensiona: il nostro Io è riportato nella giusta proporzione. Si fa strada l’idea che acquisiamo senso essendo parte di un tutto di cui non siamo noi il centro.Contemplare quella bellezza può diventare poi racconto di Dio. La natura è segno della Sua presenza, è narrazione del suo amore.
[Foto di Nicola Cavallotti]
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