Come su un Ottovolante

di Antonella Cilenti

Sfido solo uno di voi a dire che la vita in Comunità capi non sia come andare sulle montagne russe! Si passa da annate di eccitazione e positività ad altre di timori e buio profondo. Se mi guardo intorno: eventi formativi, Zona, Regione vedo tanti capi sulla mia stessa giostra. Le motivazioni che rendono la Comunità capi un tracciato di repentine salite e discese, curve paraboliche ed evoluzioni spettacolari sono comuni a molti gruppi ma avventuriamoci nella descrizione di alcune salite.

Freccia verso l’alto


1
La forza G (*) negativa provoca la sensazione di vuoto allo stomaco e proviene dalle differenze generazionali, definizione riduttiva se ci si riferisce solo all’età dei capi senza considerare: essere o meno capi di provenienza associativa, tempo di permanenza in Comunità capi, esperienze extra AGESCI, essere genitori. Dunque nascono infinite discussioni su: come sono bravo io, anni attivi da capo unità, quanti bollini di incarichi associativi, numeri di corsi pedagogici, perché la parola di un capo di 20 anni vale solo se ripetuta da uno di 50, etc.

2 Aumento a 3G della forza opposta che avvertiamo sul corpo: concezione della disponibilità al servizio. Quanti dialoghi iniziano con: “Quando IO ero il capo clan passavo ore, giornate, mesi con i ragazzi”? Questi IO generano il capo “elefante”, ingombrante per tempo e conoscenze e presenza ombra nella vita dei capi in formazione. Situazione opposta ma da capo giro è il servizio mordi e fuggi, garantito senza progettualità, con l’urgenza di rimettere nei binari i capi piuttosto che i ragazzi.

3 Non lasciare il proprio posto: capi giovani e capi anziani. C’è un articolo di regolamento che parla di queste figure? Esiste una “Cocagarchia”, ovvero una “intellighenzia associativa” chiamata a prendere le decisioni? L’energia potenziale di questa salita viene incrementata dai capi di mezzo che non si espongono, non mediano, quelli che basta non toccare la loro unità e tirano fuori la voce solo se non annoverati tra i capi storici.

4 Curve paraboliche e giri della morte: precarietà del servizio dei capi, rischio di chiusura delle unità, rapporto con i parroci a corrente alternata, presenza in unità ma non a momenti associativi, formativi o di Co.ca. stessa.

Chissà quali salite e curve avrete affrontato a bordo del vostro ottovolante! Ma il punto di forza di tutte le nostre giostre è che presentano il medesimo funzionamento. Se tutti viviamo le stesse dinamiche significa che sono implicite nell’esperienza UNICA, che ESISTE SOLO IN AGESCI e risponde al nome di comunità capi. Non capi che ogni tanto fanno comunità ma comunità costituita da capi, PERSONE. Non vocazione collettiva ma insieme di vocazioni. Ora pronti per l’airtime? L’energia cinetica della discesa è ciò che muove pensieri costruttivi e dà lo slancio nella ricerca delle soluzioni. Iniziamo le discese e respiriamo a pieni polmoni.

Freccia verso il basso

1 Forza a 5G positiva: la convivialità delle differenze (Tonino Bello). Quanto è bello che i ragazzi trovino nelle nostre singolarità il loro incastro, come rinfranca la voce di un capo che propone una soluzione alla quale tu non avresti pensato, quale gusto ha la rielaborazione che avviene dopo la riunione nella quale provi a capire come la storia del gruppo possa incontrarsi e rispettare quella di ciascuno. Perché il gioco vero è fuori dalla sede! Se si progetta la cosa più grande ma si passa sulla vita di qualcuno a cosa serve? Non siamo lì per costruire persone felici? E questo non riguarda anche noi capi?

2 Adrenalina pura: dove trovate un luogo in cui un adulto può entrare in contatto con le idee di un giovane-adulto e viceversa? Cosa ci dà un’occasione così concreta di dialogo tra generazioni? Io ho imparato tanto dai capi più piccoli, mi danno freschezza, vedute più vicine al mondo dei ragazzi, relativizzano le mie certezze. Io forse porto coerenza ed una certa presbiopia che consente di guardare al futuro con meno ansietà.

3 Pezzi di rotaie in piano, luoghi confortevoli nei quali ci si esprime, si dialoga in modo orizzontale, si ascolta. Lo staff, l’interbranca, la chiacchierata con i capigruppo, la condivisione dei progetti del capo. In questi luoghi ognuno scopre il metodo, lo approfondisce, lo trasferisce, propone una danza appena imparata, alleggerisce il carico di un insuccesso educativo, vive la preghiera comunitaria come gli apostoli e la sacralità del cibo per gli scout, la famigliarità che nasce da un pernotto, la correzione fraterna e la corresponsabilità educativa.

4 Boosters Le ruote che consentono l’avanzamento: la formazione in Co.ca., in staff, il trapasso nozioni, l’imparare facendo. Quale associazione, quale corso di formazione consente di vivere gomito a gomito e giornalmente un progetto, metterne in atto l’esperienza e verificarla? Quale realtà ti fa scegliere su quali passi orientare il cittadino di domani e contestualmente ti interroga e ti aiuta ad aggiustare il tiro su te stesso, offrendoti un’occasione per riprogettarti da adulto? Solo se la Co.ca. non è comunità del fare ma dell’essere vi è una cura reciproca a 360 gradi. Per vivere la Comunità capi bisogna dunque amare il rischio, saper vivere le forti emozioni, accettare le leggi della fisica sottese a questa giostra perché “la fisica è una lingua speciale con la quale si possono raccontare solo le cose VERE” (Jo Nesbo) e se sentiamo che il brivido non fa più per noi forse è solo arrivato il tempo di scendere.

 

[Foto di Margherita Ganzerli]

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