di Paola Fedato
“Quello che dovete sapere di me…” cominciano così le lettere che circa 900 tra i rover e le scolte che hanno partecipato alla Route nazionale hanno scritto per raccontarsi e che l’Agenzia “Codici” ha raccolto per provare a restituirci un quadro d’insieme di questa generazione di ragazzi. Sfogliando le pagine di questo straordinario esperimento narrativo ci si imbatte in passaggi davvero intensi che strapperebbero un sorriso soddisfatto anche al più severo capo clan e capo fuoco: “Mi piace essere scout anche senza uniforme, mi piace rendermi utile senza che nessuno sappia del mio gesto, mi piace sapere che quella persona alla quale ho fatto un favore o alla quale ho donato qualcosa, sorrida senza sapere il mittente. E forse è questo quello che ci contraddistingue dalla altre persone. Non che abbiamo super poteri, ma sicuramente forza e coraggio (F. 18 anni, Lazio).”
Quello che traspare da questa, come da molte altre citazioni, è il segno profondo che lo scautismo lascia nella personalità di questi giovani uomini e donne che si scoprono felici di essere utili e coraggiosi nel perseguire il bene.
L’opportunità di incontrare, nelle parole che hanno scelto per raccontarsi, le storie personali di alcuni dei protagonisti della Route ha confermato una convinzione che ho maturato mettendo a confronto il mio servizio di capo fuoco con la mia esperienza professionale di educatrice ed insegnante. La proposta educativa dello scautismo offre ai ragazzi la possibilità di vivere esperienze autentiche di relazione e protagonismo che fanno crescere in loro un’apertura all’altro e un senso di responsabilità verso il mondo davvero fuori dal comune.
Il servizio per loro non è semplicemente una porzione di tempo libero da dedicare al volontariato; per i rover e le scolte delle nostre unità il servizio è uno stile, una chiave interpretativa dell’esistenza, un valore fondante che può dare senso alle scelte di una vita. “Il mio desiderio è aiutare gli altri, sfondando le barriere della povertà, delle intolleranze e delle ingiustizie. E se questo è il mio sogno sicura che tanti altri miei coetanei ne abbiano altrettanti” (F., 19 anni, Piemonte).
Seguendo da vicino la realizzazione delle azioni di coraggio che hanno portato a compimento i percorsi del Capitolo Nazionale, mi sono resa conto che le esperienze di servizio vissute dalle comunità R/S sul territorio partivano da una progettualità solida e avevano un respiro largo; non sono state occasioni sporadiche ed improvvisate di volontariato comunitario, ma esperienze autentiche in cui i rover e le scolte hanno vissuto in prima persona la forza del bene che ciascuno di loro è in grado di realizzare. Credo che l’esperienza della Route abbia contribuito a proporre l’esperienza del servizio anche come strada da percorrere verso il cambiamento, nell’assunzione di responsabilità verso quel pezzetto di mondo e di umanità che ci è dato di vivere e incontrare. Nel confronto e nella condivisione di San Rossore è emersa una fiducia nuova nell’efficacia che le scelte e l’impegno individuali possono guadagnare quando si incontrano in un progetto comunitario.
“Con le nostre azioni di coraggio abbiamo provato a realizzare il cambiamento che siamo stati capaci di sognare. Vogliamo consegnare la nostra disponibilità a servire e la nostra visione del mondo all’Associazione e alle Istituzioni ecclesiastiche e politiche. Abbiamo fiducia e siamo sicuri che saremo ascoltati nelle parole e sostenuti nelle azioni”.
Ho colto da subito queste parole che i rover e le scolte hanno voluto nell’introduzione alla Carta del Coraggio come una conferma del valore della proposta educativa che i capi devono essere in grado di offrire. L’esperienza del servizio, della realizzazione di sé nell’incontro con l’altro, dell’apertura al mondo, dell’assunzione di responsabilità, può diventare elemento fondante nella costruzione della personalità solo se riletta sulla strada, dove il tempo e lo spazio vengono vissuti nella loro realtà di fatica e bellezza, dove il passo dell’adulto che mi cammina accanto diventa un riferimento per misurare il mio, dove faccio i conti anche con la mia debolezza e con il mio limite. Credo che educare al Servizio sia quindi accompagnare i rover e le scolte in questo incontro con se stessi e con Dio a cui ci si apre ogni volta che si decide di donarsi a qualcosa o a qualcuno. Anche la capacità di ascoltare e accogliere situazioni e persone che ci chiamano a servire in tempi e luoghi che non avremo scelto o previsto è una dimensione del carattere che aspetta di essere alimentata nell’educazione.
“Chi non vive per servire, non serve per vivere”. Mi sono chiesta in questi giorni come devono aver risuonato le parole di Papa Francesco nei cuori dei nostri rover e scolte; credo che ne abbiano sentito la forza e che abbiano colto quel monito come un invito a continuare a camminare sulle strade del mondo con questa solida certezza. “La grandezza di una persona si basa sempre su come serve la fragilità dei suoi fratelli”. Mi auguro davvero che riusciamo ad accompagnare i nostri rover e scolte a diventare grandi proprio attraverso l’incontro con quell’umanità fragile a cui tutti apparteniamo e che dà senso alla nostra scelta di servire.
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