Che io possa andare oltre

di Francesca Santeusanio

Sei passi per costruire un’autentica relazione educativa, quella che ci chiede di camminare accanto ai nostri ragazzi per scoprire insieme chi sono chiamati a essere. 

Siamo in cammino non da soli ma a due a due: capi e ragazzi. Come fratelli maggiori i capi sanno camminare insieme ai ragazzi. Diventa allora un cammino comune, un cammino insieme, un cammino fianco a fianco”. (Emmaus, Educare alla vita cristiana)

Essere uno accanto all’altro mi ricorda, ogni volta, che non ci si salva da soli. Mai. Che ci si salva attraverso un incontro, uno sguardo, una chiamata, un abbraccio silenzioso, una Parola, un dono quasi mai materiale ma spesso molto più concreto. Ci si salva incontrandosi e condividendo un pezzo di strada. 

Mi fermo. Nella fretta vorticosa delle nostre giornate fermarsi è un atto di coraggio. La relazione esige questa decisione. Se mi fermo inizio a fare spazio per accoglierti. “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). 

Ti guardo. Non mi fermo all’apparenza. Entrare l’uno nello sguardo dell’altro significa riconoscere nell’altro se stessi. Chi sei tu e chi sono io. “Fissò lo sguardo su di lui, lo amò” (Mc 10,21). 

Ti chiamo per nome. Riconosco la tua unicità e accetto il rischio di non avere indietro risposta. Pronunciare un nome è far esistere un pò di più chi lo porta. Una lettera inizia sempre con un nome che ci è caro. Se non so pronunciare bene il tuo nome io non so dire bene, benedire, il tuo mondo. “Egli conta il numero delle stelle e ci chiama per nome” (Sal 147,4).

Ti chiedo come stai. Sono disposto ad accogliere la tua vulnerabilità, desidero conoscere cosa ti turba, cosa ti inquieta, cosa ti rende felice, cosa ti illumina. Chiedere come stai è assumersi la responsabilità e il peso della tua risposta. “Perché tu sei prezioso ai miei occhi” (Is 43,4). 

Attendo la tua risposta e rimango. Desidero camminare accanto a te per un pezzo di strada. Mi faccio carico della scelta di esserci, di rimanere, divento responsabile della “mia rosa”. Rimanere significa condividere esperienze, lavorare insieme alla costruzione del proprio io, dell’uno e dell’altro. “Perché sei degno di stima e io ti amo” (Is 43,4). 

Vado oltre. Che io possa andare oltre e lasciarti andare. Per un educatore lasciar andare è difficile. É farsi piccolo di fronte al compimento di una trasformazione, è riconoscersi “servo inutile” perché l’altro nome dell’inutilità è la gratuità. Smontare la tenda e ripartire. “Siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10). 

Quante volte nella nostra storia di capi abbiamo scommesso e ci siamo spesi nella costruzione di questa relazione? Quante volte ci siamo confidati che è sempre più difficile? Perché esige di mettere in gioco noi stessi e fare, concretamente, esperienza di speranza applicando ciò che è scritto nel nostro Patto associativo “far crescere nella libertà inventando nuove risposte alla vita con l’inesauribile fantasia dell’amore”. É l’umanità condivisa di Danilo Dolci che ci ricorda che ciascuno cresce solo se sognato. 

Una volta si chiamava arte del capo, oggi direi più umilmente, la capacità di stare accanto con discrezione, tenerezza e impavida tenacia. 

È nella creatività che va oltre le attività, in una colazione al mare il sabato mattina. 

È in un abbraccio che anche noi abbiamo paura di dare, in uno sguardo più intenso del solito che dice: io ci sono. 

È nell’accettare una sconfitta e dirsi che è solo un pezzo di strada faticosa che insegna a reagire.

È nel sentire il sapore di vita che spinge a non mollare per godersi lo spettacolo di un’alba in quota. 

Coltivare la speranza con i nostri ragazzi significa, allora, scoprire con loro la propria vocazione, il proprio posto nel mondo, il proprio ikigai (come dicono i giapponesi), cioè far coincidere ciò che sai fare con ciò che ami, scoprendo ciò che sei, per condividerlo a beneficio degli altri. É il sapore di vita che si trasforma in motore di vita. Per sé e per gli altri. “Siamo in cammino, non da soli, ma due a due: capi e ragazzi”. 

 

[Foto di Stefano Nova]

 

 

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