L’arte di incastrare la vita personale con la partecipazione nell’associazione e nel mondo: roba da Super-Sayan?
Ogni 29 del mese si tiene per me un piccolo rituale: prendo un foglio bianco, disegno col righello le caselle e i numeri del mese successivo e comincio il gioco degli incastri del grande tetris lavoro-vita. Lo faccio il 29 perché noi che lavoriamo a turni spesso navighiamo un po’ a vista e siamo pieni di cambi e imprevisti, e la mia sacra griglia non deve portare su di sé alcuna cancellatura per il bene della mia sanità mentale. Poi si estraggono con attenzione i risultati del Doodle per la votazione della data della riunione di Comunità capi e della riunione degli R/S, e si seleziona il giorno più adatto facendo attenzione a chi non c’era l’altra volta e a chi a questo giro non deve assolutamente mancare perché ha preparato delle attività. Un’occhiata al calendario di Zona e Regione, che per fortuna è già lì saldo e immutabile nei mesi. Infine, si manda uno WhatsApp alla strana creatura dualistica fidanzato-Akela per chiedergli quando hanno fissato la caccia e le riunioni di staff, sperando che non caschino proprio in quei due miseri giorni liberi che mi sono toccati questo mese. Contemplare il risultato, ripetere intensamente che il mese dopo andrà meglio e il gioco è fatto. E fino a qui tutto normale, o quasi. Ma la magia succede dopo: in pratica quando pensi di essere satollo sopra ogni possibilità e ti chiama quel ragazzo del Clan che sta passando un brutto periodo, incredibilmente, ti accorgi che c’era un altro ritaglino per una telefonata fiume o per una lunga chiacchierata con lacrimoni annessi. Pazzesco, veramente. Eppure, è così, e all’inizio vi giuro che non lo era. E non si tratta di un’inclinazione all’autolesionismo o all’incapacità congenita di dire “No”. Assolutamente, è tutt’altro. È la graduale comprensione di dove poter cogliere lo spazio per la partecipazione nella nostra straordinaria normalità, nel ricordare sempre che gravitante intorno a tutti i nostri immensi casini ci sono anche i casini degli altri, che hanno esattamente lo stesso peso sulla nostra vita. E quando capisci questo il tempo non è più un limite, ma è una ricchezza inestimabile. È il dono più prezioso che puoi fare a un fratello, o a una comunità di fratelli, perché quella sera libera è tutto quello che hai. E poi, vabbè, c’è anche quella settimana in cui arrivi in fondo e hai la sensazione di aver fatto 8.000 cose, ma che bene bene non te ne sia uscita mezza. E quella dove ti chiedi “ma chi me lo fa fare”. Signori, è fi-sio-lo-gi-co. L’arte del Super-Sayan nella stanza dello Spirito e del Tempo è una cosa che si impara lentamente, non ci si deve rimanere male se non si riesce subito. Bisogna sapersi un po’ districare dalle cose inutili, e capire dov’è davvero importante seminare. E soprattutto, quella domanda “chi me lo fa fare” non va lasciata lì a galleggiare, come una macchia di petrolio in un mare cristallino, perché è pericolosissima. Bisogna andare a fondo e spazzarla via con i motivi della nostra partecipazione, nei valori che ci fanno andare avanti, con le vite che ci rendono felici quando le incrociamo. È questo che non ci fa sprofondare anche nelle brutture, anche quando ci sembra che non ci basti il fiato per respirare. E poi il mese prossimo, si sa, andrà meglio.
[Foto Piacenza 5]
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