Essere felici secondo Gesù Cristo
La forza che le parole esprimono può perdersi. Quando succede le parole non sono più generative. Non sono più capaci di mettere in moto quella trasformazione di noi e del mondo, che chi le usa vorrebbe provocare. Questo può accadere anche alle parole attraverso le quali il Dio biblico cristiano si rivolge a noi e che noi troviamo nelle Sacre Scritture, nella Bibbia. È il caso di parole come giustizia e pace, che rinviano a realtà di cui oggi sentiamo il desiderio in modo acuto. È il caso di un termine come beatitudine, che dice cosa significa essere felici secondo Gesù Cristo. Sono parole umane che Dio usa per entrare in dialogo con noi e provocare un nostro cambio di mentalità. Per produrre questo effetto, però, esse devono essere capite secondo la prospettiva di Dio. Laddove le parole che Dio usa sono invece “ridotte” al significato che la nostra cultura dà loro, ecco che non hanno più la forza di fare cambiare noi e la realtà intorno a noi.
Prendiamo pace, per esempio. Spesso è intesa come assenza di conflitto. Grazie a una forza esterna o ad accordi tra le parti lo scontro è sospeso. Per la logica di Dio, invece, la pace è pienezza di vita. È integrità. In tal senso il termine biblico pace è più che l’assenza della guerra, perché anche quando non c’è guerra può mancare la vita o ciò che la rende possibile: prosperità, gioia e, soprattutto, relazioni sane. Per questo la pace va a braccetto con la giustizia, come ci ricorda il Salmo 85 (84), quando afferma che «giustizia e pace si baceranno». Anche in questo caso con il vocabolo giustizia la Bibbia indica una realtà differente da quella che la parola vuol dire nel nostro linguaggio. Per la nostra mentalità la giustizia si realizza, quando a ciascuno è “dato” ciò che gli spetta di diritto, sia in positivo, «il giusto salario», sia in negativo «la giusta pena». Il riferimento è ad una regola, ad una norma. Al contrario per la giustizia biblica il riferimento è l’altro nella sua specificità e non la regola nella sua universalità. Per il Dio biblico cristiano c’è giustizia, quando tra persone diverse si instaura una “giusta” relazione, in cui ognuno rimane se stesso e non deve rinunciare a ciò che è, per entrare nella relazione con l’altro.
Una simile giustizia permette agli uomini di vivere quella pace autentica che il Dio biblico cristiano desidera per ciascuno di noi: pace come vita in pienezza. È la proposta di felicità che Gesù ci fa e che troviamo nelle otto Beatitudini presentate da Matteo nel suo vangelo. Perché otto? Per due ragioni. La prima ragione riguarda il rinvio alla vita presente, perché otto è il giorno dopo il sabato. È il giorno della risurrezione. Quello in cui Gesù inizia un nuovo presente, quello abitato dal suo Spirito. È quello che il vangelo di Matteo chiama «il regno dei cieli». Un “regno” che non arriverà domani, ma è già presente oggi, se facciamo nostro lo stile di Gesù, accogliendo le sue parole. La seconda ragione ha a che fare con l’uso delle espressioni di questo testo per aiutarci a capire quello che è essenziale nella proposta di Gesù. Questo uso si basa sulla differenza tra la prima e l’ultima delle beatitudini rispetto alle altre sei che sono racchiuse in mezzo ad esse. La prima e l’ultima espressione, infatti, dicono che «i poveri in spirito» e «i perseguitati a causa della giustizia» sono beati già nel presente, «perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,1.10). Le altre sei beatitudini, al contrario, sono tutte circostanze esemplari, situazioni di sofferenza e di dolore vissute da persone che saranno beate domani (Mt 5,4-9). Questo per dire che chi oggi soffre potrà essere beato, se nel presente qualcuno è capace di farsi «povero nello spirito», rinunciando alla propria mentalità, per abbracciare lo stile di Gesù, anche facendosi perseguitare, se necessario. Perché qualcuno già ora vive questa maniera di essere in relazione con gli altri chi oggi è nel pianto, nel dolore e nella sofferenza, potrà domani trovare sostegno e così diventare beato.
[Foto di Andrea Pellegrini]
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