Pianificatori seriali di attività o educatori attenti alle vite dei ragazzi? Il campo “perfetto” – se esiste – è quello che sa accogliere, affrontare gli imprevisti e incoraggiare le scelte.
Anche dei più piccoli
«Bagheera!», esplode piagnucolante la voce di una sorellina nella cornetta del telefono. «È successa una cosa bruttissima: mi sono fatta male al piede, mi hanno messo il gesso e la mamma ha detto che non posso venire alle Vacanze di Branco, ma io voglio!!!». Segue pianto sconsolato. Mentre cerco di dispensare qualche parola di conforto, dentro di me celo un discreto sconforto: la stessa sfortunata scena si è svolta anche pochi giorni prima, con un’altra sorellina che forse ci raggiungerà a metà Vacanze di Branco, rigorosamente stampellata. Ebbene, mentre ascoltavo la mamma di Gaia spiegarmi che non sapeva come tenerla a casa, tanta era la voglia della bambina di partecipare alle Vacanze di Branco, i miei algoritmi di problem solving da capo scout erano già in piena esecuzione. «Ok, partenza tra 4 giorni, incluso un esame universitario, un’ultima riunione di staff, spesa coi cambusieri e caricare il furgoncino. Ogni minuto libero da qui alle Vacanze di Branco va incastrato con l’altro in un fragilissimo mosaico di logistica e pianificazione». Una strada poteva essere modificare tutti quei tornei ganzissimi, per i quali avevamo anche comprato la rete da pallavolo nuova, e trasformarli in meno divertenti tornei di giochi da tavolo, tutti da decidere ex novo. L’escursione e il bagno al fiume? Nemmeno a parlarne. Ah, e anche il gioco serale non va bene, che devono correre per tutta la salita per trovare il tesoro altrimenti il tema diventa inconcludente… oppure… Oppure prendo i genitori di queste due bambine, li guardo dritti negli occhi e spiego loro che tanto a stare ferme, non ce la faranno mai, che la fasciatura si sporcherà sicuramente, che le stampelle per quella casa colonica immersa nel bosco, via, che ve lo dico a fare… ma poi chissà quanto si annoieranno sedute a guardare gli altri che si divertono… signori, suvvia, sarà per l’anno prossimo, tenetele a casa tranquille, giocheranno ai videogame, aria condizionata e con noi ci vediamo a settembre. Riaggancio il telefono fisso e acchiappo WhatsApp pronta a riversare tutte queste riflessioni sulla chat di staff. Giusto un secondo prima di iniziare a spippolare mi sfiora il ricordo di una me di tanti anni prima: durante una cena di C.d.A. nel salotto ingombro di cartoni della pizza, con i fratellini coetanei dell’ultimo anno di branco, e i Vecchi Lupi che cercavano di farci finire di inventare un gioco da proporre al Branco per la settimana successiva a riunione. La cena si era svolta a casa mia perché poco tempo prima mi ero operata al ginocchio e quindi mi trovavo con quella gamba inutile, enorme e rigida davanti a me, che non mi avrebbe permesso di correre e saltare per almeno un paio di mesi. Prima ancora di portare questa riflessione nebulosa su un piano cosciente stavo già sorridendo tra me e me, realizzando solo in quel momento ciò che era accaduto in quel ricordo preistorico, quanto i Vecchi Lupi si fossero spesi allora per non farmi perdere nemmeno una riunione e quanti giochi fossero improvvisamente stati rivisitati in versione seduta per permettermi di giocarli. Avevamo persino fatto una staffetta in carrozzina in giro per il quartiere, dove tutti avevano realizzato quanti dannati scalini non avevano la rampa per salire e quanti pali e ostacoli sul percorso erano clamorosamente nel posto sbagliato. Anche per chi in carrozzina ci si doveva spostare non per gioco. Ah, e poi avevamo anche fatto una gara di corsa in stampelle, inutile dire che avevo stracciato tutti dall’alto del mio allenamento di settimane.«Mamma mia però, che noiose quelle settimane», ripensai tra me e me.
La dura verità che la pianificatrice seriale che era in me ha dovuto accettare è che con le nostre attività dobbiamo accogliere i nostri ragazzi per quello che sono, per quello che vivono e che spesso, che ci piaccia o no, cambia, al pari con le loro scoperte, la loro crescita, gli imprevisti della loro vita.
Non basta e non serve creare un parco dei divertimenti perfetto. Dobbiamo piuttosto costruire con loro un mondo fantastico in cui aiutarli a sentirsi parte di una comunità che gli permetta di muoversi come vogliono ma protetti in una solida trama di accoglienza e comprensione; senza compromessi, con la gioia e la determinazione di chi sa che può dare un bel calcione a quell’“IM” di “Impossibile” anche senza correre, andando a passo di stampella, se serve. Anche se mancano quattro giorni alle Vacanze di Branco. Anche a costo di rivedere in toto il programma che sulla carta… sembrava davvero perfetto. Ma perfetto per chi?
«Ehi, staff», digito su WhatsApp. «Domani dobbiamo rivedere un po’ di cose sulle attività: nei nostri giochi ci sono un po’ troppe barriere architettoniche, non credete?».
[Foto di Nicola Cavallotti]
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