A parte le vecchiette

di Marco Gallicani

Di terzo settore ne so un po’, lo frequento da anni e per molti versi ancora oggi è il mio principale datore di lavoro, e credo di conoscerne limiti e potenzialità. Addirittura mi attribuisco tesi storiografiche sul suo conto perché negli ultimi 20anni ne ho osservato e studiato i cambiamenti, in meglio e in peggio.

Mi son quindi preso la briga di studiare l’evoluzione del rapporto dello scautismo con le battaglie per i beni comuni, quelle – per intenderci – che si combattono per gli altri e non per se (tecnicamente si chiama “advocacy”.  Si distingue, e tanto, dalla “lobby” che pure ha la sua dignità, se rigidamente regolamentata).

Sarà ben capitato a molti di quei pochi che leggono queste righe di chiedersi se ad una tal manifestazione sia stato normale (o giusto) partecipare in uniforme, o se il tal capo (particolarmente apprezzato dai genitori del tal gruppo) abbia fatto bene a portare quella bandiera, quel giorno.

Tutto questo al netto del fatto che  intorno a noi c’è gente che è sempre pronta a suggerircela, quella risposta, attribuendo all’Agesci simpatie di sinistra (e di destra e di centro), movimentiste o complottiste, antigay e progay, ambientaliste o menefreghiste, e chi più ne ha più ne taccia, che ci fa solo venire il nervoso!

Ecco, al netto di tutto questo, a rileggere la storia della nostra Associazione, quello che ha fatto e quello che ha scritto in questi ultimi 30 anni c’è di che esserne orgogliosi, delle prese di posizione che ci hanno distinto nello scenario italiano.

Perché a fine anni 80 – anni ottanta, avete letto bene voi che ancora non eravate nati – non era così normale che un’intera associazione si mobilitasse in rete con molte altre e desse vita ad una campagna come quella di Salaam Ragazzi dell’Olivo che in alcune zone ancora oggi tiene in piedi progetti di affido a distanza e di scambio socio culturale tra italiani e palestinesi. Stiamo parlando di oltre 10.000 affidi a distanza, viaggi di conoscenza e campi di lavoro in Palestina, gemellaggi tra scuole, sostegno agli asili palestinesi e altri microprogetti mirati.

Perchè negli anni del disimpegno l’Agesci scelse al contrario di valorizzare e sottolineare la natura politica del suo impegno pedagogico. Basti citare le prese di posizione contro la pena di morte (nate alla Route R/S dell’86 e via via maturate fino al conseguimento, il 13 luglio 1989, dell’obiettivo di commutare la pena capitale in ergastolo per Paula Cooper, simbolo della campagna avviata ai Piani di Pezza); o l’impegno concreto a favore degli immigrati (dall’adesione al movimento per una legislazione giusta alle mille iniziative locali di accoglienza e solidarietà); o il messaggio e le “tracce” lasciate dagli Alisei; o la lettera-riflessione durante la guerra del Golfo e l’appello per il rispetto dei diritti all’autodeterminazione dei popoli nel pieno della crisi jugoslava; o ancora l’impegno per una legislazione che promuovesse il recupero e non l’isolamento dei tossicodipendenti e le prese di posizione contro le modifiche alla Legge sulla procreazione assistita o le migliaia di iniziative dei gruppi locali a favore del referendum sull’acqua bene comune.

Poi certo anche l’Agesci è fatta di persone che vivono il loro servizio qui ed oggi.

E nonostante il Patto Associativo (che sarebbe quella cosa che distingue un capo Agesci da uno scout generico) ci inviti esplicitamente a “prendere posizione in quelle scelte politiche che riteniamo irrinunciabili per la promozione umana”, è evidente lo svilimento del concetto di “pubblico” nel modo di intendere di questo momento storico.

E se nella migliore delle ipotesi si pensa che pubblico sia ciò che ha a che fare  con la burocrazia statale, ecco forse proprio gli scout dovrebbero ricordare che le cose non stanno così e che una valle alpina (magari quella coi rododendri in fior) – anche se nei singoli appezzamenti di terreno appartiene a qualche contadino – è pubblica, che un’opera d’arte – anche se appartiene ad una pinacoteca o ad un privato – è pubblica; che l’acqua è pubblica, “non c’è privatizzazione che le toglierà questo aspetto, perché l’acqua è acqua e noi ne siamo semplici utilizzatori”.

E se si affermano invece quelle idee che vedono in questi “beni comuni” ghiotte occasioni di profitto e non straordinarie opportunità per la comunità, ecco sappiano che gli scout sempre si movimenteranno  contro questa idea malata di comunità.

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