Insieme sulla strada, ciascuno con il proprio passo
Quando riporto alla mente i ricordi del mio percorso scout da ragazza, riaccesi da una foto ritrovata per caso o da un racconto fatto in compagnia, è inevitabile che questi siano colorati dai volti e dalle parole dei miei capi di allora. E questo accade anche quando penso alle pietre miliari del mio cammino di fede. Non so se usa anche da voi ma il mio percorso interiore, coi suoi alti e bassi, è spesso stato costellato nelle attività di branca da quelli che chiamerò “gli incontri WOW”. Con effetti più o meno producenti, si intende. Si va dal prete che ti sembra tanto avvicinabile e alla mano perchè dice le parolacce, alla suora laica che ha donato tutto ciò che aveva e l’ha dato ai poveri, a quel manager che ha lasciato il suo lavoro pagatissimo per dedicarsi a un’associazione benefica, al monaco eremita che vive nel silenzio e nella contemplazione. Insomma, dei VIP di testimonianza e conversione. Tutte situazioni nobili e ammirabili, spesso anche invidiabili. A volte sono arrivati come schiaffi in faccia nelle mie sciocche convinzioni adolescenziali, a volte erano talmente lontani dalla mia sensibilità da riuscire a dire davvero poco alla mia vita. Ciò che li accomunava tuttavia è che, una volta passati, gli “incontri WOW” immancabilmente si dissolvevano, come quando finisce un bel film e ti accorgi che non ricordi già più i nomi dei personaggi, e restano a fare la loro parte nel tuo percorso come una specie di rumore di fondo, come una tonalità indefinita.
A posteriori ho rianalizzato quale fosse la finalità educativa dietro questa modalità, che io stessa da capo con le mie staff ho spesso riproposto ai ragazzi, e che viene riportata anche nei campi di formazione per capi, tante volte in modo utile ed essenziale. Per fornire degli spunti, dei punti di vista diversi, delle provocazioni… E forse perché si ha paura di non essere abbastanza, che non sia sufficiente, o che sia troppo presuntuoso dire «guarda come sto camminando io».
Nonostante ciò ho realizzato che tra le cose che a suo tempo hanno davvero dato colore al mio cammino di fede ci sono sicuramente le presenze costanti dei miei capi, persone comuni, con le loro fragilità e incertezze, con le loro scelte più o meno sconvolgenti, che con il loro vivere affettuoso e discreto mi hanno fornito dei modelli in cui rispecchiarmi (o dai quali differire) senza che ci fosse mai il “momento spiegone” o la condivisione formale ed esplicita dei loro sogni, dei loro valori. Alla fine è camminando insieme nella quotidianità che ci si racconta, ci si studia, ci si supporta a vicenda, e così si sviluppa la vera conoscenza e la vera comprensione l’uno dell’altro. Sarà stato così anche per i due discepoli di Emmaus, chissà quanto si saranno raccontati mentre procedevano fianco a fianco tra quei paesaggi rocciosi, con le loro paure e le loro speranze su come sarebbe diventato il loro mondo, quanto avranno condiviso dei loro dubbi teologici. Forse in modo simile a quel ragazzo del clan che ti avvicina in route e ti tempesta di domande (a chi non è capitato?), determinato a trovare “la svolta” della sua riflessione sul famigerato “Punto fede”, e tu, con apparente sicurezza, dentro di te vai in paranoia perchè ti stai dicendo che «ok, è il momento di dare prova dell’integrità della testimonianza di fede, questa non la posso sbagliare». Nemmeno nel peggiore degli esami universitari sei stato così in tensione e hai misurato tanto bene le parole.
È vero caro capo, ci vuole competenza e credibilità in situazioni così, ma il filo da seguire non è quello di fornire la risposta “giusta”, che spesso neppure c’è. Del resto, la fede non è un obiettivo educativo. Non c’è da instaurare una dinamica dialettica o di convincimento. Bisogna saper sostare con loro nel dubbio, abbracciare e stimolare la loro necessità di coltivare le domande, vivere il discernimento alla luce della Parola di Dio. Bisognerà stare nell’incontro: educare a fare/farsi le domande giuste. Non dobbiamo dare soluzioni ma ricette, come dice il nostro assistente generale padre Roberto del Riccio: «All’inizio servirà fornire indicazioni chiare sui tempi di cottura, sui criteri di scelta degli ingredienti di qualità… poi diventeranno cuochi o addirittura chef e allora faranno a meno della ricetta… e il resto verrà in abbondanza».
E l’aspetto peculiare e sfidante del nostro cammino al loro fianco è che, al pari del cammino dei Discepoli di Emmaus, ognuno procede col suo passo verso la fede, con la propria maturità di vita. E quando si torna a casa e si disfa lo zaino in realtà il cammino non è finito, perché il nostro essere capi e testimoni di vita cristiana si gioca in uno spazio aperto, dove l’interezza della nostra testimonianza non deve essere intaccata dalla fine dell’orario comandato. Così erano quei capi che stavano dando tanto per me, senza che nemmeno me ne stessi rendendo conto; sapevo di poter contare su di loro, sapevo che si trattava di individui completi e coerenti; o comunque che il loro (e il mio) cammino sulla strada di Emmaus, portava in quella direzione. E così so che è anche per il vostro e quello dei vostri ragazzi.
[Foto di Nicola Cavallotti]
Nessun commento a "A DUE A DUE"
I commenti sono moderati.
La moderazione potrà avvenire in orario di ufficio dal lunedì al venerdì.
La moderazione non è immediata.
I tuoi dati personali, che hai fornito spontaneamente, verranno utilizzati solo ed esclusivamente per la pubblicazione del tuo commento.