“Siete capi”

SIAMO CAPI CHE

Valeria Leone

Siete capi. L’AGESCI è una delle poche realtà dove questo termine è evidente, libero da confronti e competizioni perché come deve essere, di solo servizio”. Siete capi. Sono le parole che hanno ispirato la costruzione di questo numero e che abbiamo scelto come titolo; sono le parole che il cardinale Matteo Zuppi ci ha rivolto durante la Celebrazione Eucaristica a conclusione della Route Nazionale delle Comunità capi lo scorso agosto.

Siamo capi, e se ciascuna e ciascuno di noi ha le proprie sfumature nel tratteggiare cosa questo significhi per sé, i colori primari sono gli stessi: c’è il rosso sfavillante della vocazione, il giallo lucente della Promessa (e del Patto Associativo), il blu disteso dello sguardo che si allarga verso orizzonti di bene possibili. Cosa questi colori muovano in noi di volta in volta e come pian piano si mescolino a delineare i nostri anni di servizio è serbato nel cuore di ognuno e condiviso nelle Comunità capi cui apparteniamo, ma contribuisce anche a dipingere la nostra Associazione e a restituirci un’immagine viva di come stiamo.

Ed è proprio quest’immagine che abbiamo provato a raccontarvi, quella di chi siano i capi e le capo oggi, chi siamo noi, insomma. Per farlo abbiamo scelto di partire da un luogo significativo, mettendoci in ascolto della Storia, per provare a lasciarci ispirare dalla vocazione altrui che sa farsi testimonianza. Siamo stati a Monte Sole, nel comune di Marzabotto, dove la comunità monastica fondata da don Giuseppe Dossetti abita alcuni luoghi dell’eccidio nazista del 1944 e li restituisce al mondo, intatti nella memoria ma rifioriti dalla preghiera e dalla riconciliazione. Il “motto” di Dossetti “Con Dio e con la storia” ci ha subito ricordato il desiderio di don Luigi Ciotti di saldare la terra con il cielo, di costruire un po’ di quel regno dei cieli anche in terra, un regno buono, giusto, bello. Non è forse quello che proviamo a fare ogni volta che i nostri Branchi, Cerchi, Reparti, Noviziati e Clan/Fuoco respirano la vita che li circonda e la riempiono di verità?  L’incontro con Giusi e Michele ci ha permesso di scegliere cosa fosse importante rispetto al nostro ruolo educativo.

Siamo capi che un giorno hanno detto sì. Che sia alla Partenza o all’ingresso in Comunità capi, c’è un momento in cui abbiamo abbiamo risposto di volerci essere, in un certo modo, in verità e pienezza.

Siamo capi che vivono un tempo autentico, dedicato, opportuno. Il tempo della relazione, di uno sguardo che ti vede, di un abbraccio che ti circonda.

Siamo capi che si autorizzano a sentirsi inadeguati. Che rinunciano a sapere tutto, che sanno di poter sbagliare, che si appoggiano per non inciampare, che chiedono scusa.

Siamo capi che camminano con Gesù e sanno mettersi in ascolto. È nella grazia della Strada che la nostra vita prende forma, si fa incontro, si spezza e si dona, rinnovata.

Siamo capi che giocano a fare da sponda. L’educare non prevede la neutralità, ci chiede di scegliere da che parte stare e di accompagnare i ragazzi e le ragazze a fare altrettanto, compiendo le proprie traiettorie in sicurezza.

Siamo capi che sono consapevoli della fatica. Di quella che facciamo noi, nel tentativo di tenere insieme tutti i pezzi della nostra vita, e di quella dei nostri ragazzi e le nostre ragazze: è anche in questa fatica che ci educhiamo.

Siamo capi che sanno di non essere soli. Soprattutto quando le energie sono poche e il tempo sembra ridotto al minimo, c’è la Comunità capi cui appoggiarsi e relazioni preziose grazie alle quali ritrovare la bellezza del nostro stare.

Siamo capi che ogni tanto si chiedono perché. Perché siamo capi, perché continuiamo a esserci – con le nostre agende piene, i weekend impegnati, il tempo che sembra non bastare mai. Non so la risposta che avete nella testa e nel cuore, ma sento la mia. Per Gemma e per chi la vede “sempre disponibile a dare una mano o un consiglio, capace di mettere il mondo a proprio agio, pronta a tenere il tempo del clan”. Per Arianna, che si è sentita descrivere come “quel raggio di sole che durante una giornata piovosa entra dalla finestra e ti finisce sul viso, per ricordarti che tutto sommato là fuori non è così male”. Per Antonio, che per qualcuno del nostro clan è un dono “perché è un posto sicuro”.

È per ognuno e ognuna di loro, per quelli che ci sono stati, per quelli che incontreremo domani, perché la pista, i sentieri e la strada risplendano della bellezza ordinaria che il Signore ci dona e perché anche – attraverso lo sguardo degli altri – possiamo sentirci non solo amati, ma meritevoli di quell’amore.

 

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