COMUNICARE

VOLEVO DIRTI CHE TI ASCOLTO

 

Sarà la fretta che ci fa usare Whatsapp anche quando una chiacchierata sarebbe molto meglio, sarà che le buone intenzioni sono più facili a dirsi che a farsi, sarà che… quando comunichiamo male o non comunichiamo proprio, il misunderstanding è dietro l’angolo. Eppure, comunicare è la cosa più bella che ci potesse capitare, perché ci mette in relazione con l’altro, è la relazione con l’altro. E così la nostra vita e il nostro servizio sono del tutto immersi nella comunicazione. Di più, sono comunicazione!

Se ci pensate, comunichiamo in continuazione: con le parole, certamente, ma anche con il silenzio, con il corpo, con i gesti e con i rituali (quanto dicono le cerimonie!). A volte però dimentichiamo che, prima ancora di dire, comunicare è ascoltare. Volevo dirti che…ti ascolto. Solo quando ascoltiamo con le orecchie del cuore siamo in grado di comunicare, viceversa è un parlarsi addosso.

Comunicare richiede un’attenzione premurosa e il saper cogliere le parole anche dove non ci sono.

Cambiano le persone, il contesto e gli strumenti (apriamo il numero proprio con una panoramica sulla Quarta rivoluzione, a pag. 8), ma l’abc non cambia: attenzione, cura, attesa, accoglienza sono sempre e comunque i presupposti di una buona comunicazione (leggete le pagine a seguire, sono sicura diranno a ciascuno e di ciascuno). Ogni relazione ha poi un suo modo unico per parlarsi e tocca a noi trovare le “parole”. Per incoraggiare una zampa tenera o per dire a un rover o una scolta “mi fido di te!” posso chiedere di assaggiare un po’ di quel panino che proprio non va giù, farmi trovare a sorpresa all’uscita di scuola o mandare un emoticon, magari utile ad aprire il canale.

Se a volte sembra di non capire o di non essere capiti, la questione non sono quindi le chat, il web, i social o il metaverso, quanto l’essere sintonizzati su noi stessi e sugli altri. E il decidere che sì, ne vale la pena. È una fatica buona quella che ci fa comunicare anche quando sarebbe più comodo isolarsi stando nel proprio. Comunicare è un atto di responsabilità, oltre che di umanità. Il resto si spiega con una parola: indifferenza.

Di recente, sfogliando la mia Bibbia, mi è caduto l’occhio su un foglietto: “Ha chiamato Gabriella”. Gabriella era la mia capo Fuoco e l’annotazione risale a quando si usava il telefono fisso. Sono passati molti anni, ma riprendendo in mano il foglietto in mano ho capito che non lo avevo conservato come il cimelio del tempo che fu, quando gli smartphone praticamente non c’erano, ma per l’amore che comunicava: “La tua capo Fuoco ti cerca. Sì, cerca proprio te!”.

Abbiamo tutti bisogno di ascolto e di essere ascoltati. Di chiamare e di sentirsi chiamati. Allora forse oggi è il giorno giusto per un azzardo. Prendiamo il telefono e chiamiamo quel ragazzo, quella ragazza o quel compagno di Co.ca. che non sentiamo da tempo. Così, senza messaggino di preavviso, senza appuntamento. Spiazzante? Provate e mi direte. Per me, un gesto che parla.

Buona strada!

Laura Bellomi @laurabellomi

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