Il Vangelo della precarietà

di Don Andrea Cavallini

 

«E tu Checco, che vuoi fare da grande?»

«Io voglio fare il posto fisso»

(Checco Zalone – Quo vado?)

 

Il bisogno di sicurezza

È vero: in ognuno di noi c’è un piccolo Checco Zalone che aspira al posto fisso. Nel senso che abbiamo bisogno di sicurezza (affettiva, psicologica, sociale, economica, ecc.) e soffriamo se ci manca. La precarietà ci toglie il terreno sotto i piedi. È una forma di povertà. Tra tutte, forse, l’insicurezza peggiore è quella esistenziale, il non sapere cosa ci stiamo a fare al mondo, per cosa viviamo. Oppure quella affettiva: non avere delle persone che ci conoscono e ci amano realmente è come non avere una base solida su cui costruire tutto il resto. Perché c’è un rapporto diretto tra sicurezza che viviamo e capacità di progettare la nostra vita. La precarietà rende difficile fare progetti e spinge a vivere un po’ alla giornata. Invece, paradossalmente, più siamo sicuri più possiamo vivere l’insicurezza, cioè rischiare e seguire quel desiderio di avventura, di novità, che portiamo dentro.

 

La cattiva sicurezza

Ma la sicurezza ha anche un lato oscuro. Esistono infatti sicurezze insane, che ci bloccano dentro invece di spingerci fuori. Sono quelle sicurezze false che ci costruiamo da soli come soluzioni alla precarietà della vita. Perché, anche se non ci pensiamo spesso, di fatto la nostra esistenza è precaria: prima non c’eravamo, ora ci siamo, tra un po’ non ci saremo. Molti aspetti della nostra vita concreta (pensiamo almeno al futuro, alle relazioni o alla salute) sono segnati dall’insicurezza e dal fatto che non possiamo controllarli del tutto. Non sappiamo quello che ci succederà. E noi, che invece abbiamo bisogno di sicurezza, la cerchiamo aggrappandoci ad alcune cose della nostra vita, facendole diventare la nostra certezza, il perno attorno a cui ruota tutto, la nostra assicurazione sulla vita.

Il Vangelo presenta alcune di queste false sicurezze: quella più comune è il denaro o, più in generale, il possesso, poi il potere, le proprie capacità umane, i propri punti forti; ma possono essere false sicurezze anche alcune relazioni che usiamo come rifugio, dove magari non rischiamo nulla, oppure quegli ambienti in cui ci sentiamo a nostro agio, che riteniamo le nostre “zone di sicurezza” da cui usciamo raramente. Possiamo mettere tutto il nostro bisogno di sicurezza anche nei nostri progetti per il futuro, oppure nelle persone care. Ricordo una ragazza studente fuori sede che al primo esame si vide proporre dal professore un 24: domandò un minuto di tempo, chiamò papà e gli chiese se doveva accettare il voto o no…

 

La buona precarietà

Se esistono delle sicurezze insane, allora esiste anche una precarietà che è buona. E Dio vuole per noi questa precarietà, perché vuole darci la sicurezza vera. Pensiamo alla prima chiamata della Bibbia, quella di Abramo: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Gen 12, 1), «e partì senza sapere dove andava» (Ebr 11, 8). È una chiamata a lasciare le proprie sicurezze, perché c’è qualcosa di più grande da fare. La cosa non riguarda solo Abramo. Continuamente Dio tenta di farci uscire dalla nostre false tranquillità per farci fare un salto verso di Lui. Perché si sa: Dio è un po’ ambizioso, e pretende di essere Lui la nostra sicurezza, la nostra “roccia”. «Lui solo è mia roccia e mia salvezza, mia difesa: mai potrò vacillare» (Sal 62, 3. 7). A volte allora ci chiama con dolcezza a smettere di fare affidamento su cose troppo piccole; altre volte, se c’è bisogno, è meno delicato, come quando la vita ci toglie quelle cose in cui confidiamo troppo e ci mostra che non siamo così forti o autosufficienti come pensiamo.

 

La precarietà e la sicurezza di Gesù

Gesù stesso ha voluto vivere nella precarietà per mostrare che la vera sicurezza si trova in Dio.

Verso i 30 anni, ad un certo punto ha volontariamente lasciato il suo paese, la sua casa, la sua famiglia, il lavoro, per cominciare la vita precaria del profeta itinerante. Vive di quello che le persone gli regalano. Vuole essere precario. C’è in lui una sicurezza di fondo che gli permette di farlo: è certo del suo rapporto col Padre, sa di essere amato, è sicuro che la sua vita è nelle mani di Dio. Anche la morte la affronta così: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46). E chiama i suoi discepoli a fare altrettanto. Per seguirlo loro lasciano tutto: la casa, la famiglia, il lavoro, i progetti. E lui li coinvolge nella sua stessa relazione di fiducia col Padre: non preoccupatevi della vostra vita, dei soldi, di come farete a pagare… lasciate queste faccende a vostro Padre, che sa di cosa avete bisogno. Voi invece preoccupatevi di vivere da figli di Dio e vedrete che tutto vi sarà dato (cf. Mt 6, 25-34). Sapersi amati dal Padre: ecco la vera sicurezza, che permette di vivere ogni precarietà.

 

[foto di Paolo Di Bari]

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