Quelli che al bisogno non si tirano indietro La rete informale degli “amici del Gruppo”
Da soli non si va da nessuna parte. Ecco perché tanti gruppi scout puntano a valorizzare le reti di relazione tra persone al di fuori del servizio associativo canonico. Lo scoutismo continua a unire nel tempo genitori, capi che hanno concluso il servizio educativo, rover e scolte dopo la partenza. A volte è un’esperienza che va indietro qualche anno, ma continua nella vita “da grandi”; che ci trova lavoratori, mamme e papà, professionisti o operai, maestre o falegnami, bancari o elettricisti. Tutte persone che vivono lo scautismo da cristiani adulti e che, come di fronte all’emergenza dei profughi ucraini, si sentono chiamati a fare la propria parte quando serve.
Quanto di buono vi raccontiamo in questa rubrica si inserisce nel filone di esperienze di questo tipo, ma è per una volta senza riferimenti (chi non resiste dalla curiosità può chiedere lumi al Milano 34), perché immaginiamo che tanti percorsi così siano fioriti all’interno delle comunità di cui facciamo parte. Vi parliamo quindi di un gruppo che ha sperimentato e coltivato negli anni una rete informale, che – senza necessità di costituire un’associazione e darsi uno statuto giuridico – si attiva al bisogno, in occasione di emergenze sociali, come nel periodo delle grandi ondate migratorie o, insieme a altre associazioni, è stata presente nell’accoglienza a bambini e ragazzi Rom. Negli ultimi mesi questa rete si è riattivata con l’arrivo dei profughi ucraini.
Da chi ha messo a disposizione un proprio appartamento o una parte della propria casa a chi ha offerto un accompagnamento in questura per il disbrigo delle pratiche per soggiornare e lavorare in Italia. Da chi ha dato supporto per l’assistenza sanitaria a chi ha seguito l’inserimento dei più piccoli in realtà educative e a scuola. Spesso ognuno ha poco tempo e risorse scarse, ma il risultato, mettendo insieme il poco di tutti, è miracoloso!
È una rete virtuale e virtuosa. Virtuale, perché non ci si iscrive a nessuna associazione, non si fanno riunioni organizzative, semplicemente si comunica alle persone amiche un bisogno e si raccolgono le disponibilità. Virtuosa, perché una volta avviata, questa Rete contagia altre persone, non necessariamente provenienti dallo scautismo e consente di sostenere un impegno che una persona da sola o una famiglia non sarebbe in grado di sostenere. Il gruppo scout supporta, stando nel suo specifico educativo, cogliendo l’opportunità di farsi contagiare dall’incontro con le altre persone e mettendosi a disposizione come cassa di risonanza dell’iniziativa.
Oltre che nel risultato pratico, il miracolo è proprio nell’incontro con queste persone, ciascuna con la sua storia segnata dalla guerra e dal distacco dalla propria casa, dalle proprie abitudini e relazioni. Spesso con la parte maschile della famiglia: uomini, padri e compagni rimasti in Ucraina.
Ci sono questi momenti, impegnativi, di inizio dell’accoglienza, resi difficili dalla barriera linguistica, dove ci si rende conto di dover per prima cosa restituire dignità. Riconoscere l’altro come persona, farsi raccontare (in qualche modo), porre attenzione alle sfumature nei gesti e nei modi per non offendere la sensibilità. Accettare che molto rimanga non detto e non tutto sia condiviso. L’esercizio che personalmente stiamo facendo è di immaginarci a ruoli scambiati: quindi avere tutta la nostra vita in un trolley e due borse del supermercato, non aver soldi, non riuscire a comunicare sentendosi a disagio per il fatto di avere bisogno.
È un’esperienza molto educativa, che si può condividere anche con la comunità R/S, ma con misura. A quel momento di trasloco iniziale deve con gradualità sostituirsi il delicato lavoro di accompagnamento nel rispetto della sensibilità di chi si è incontrato. Da affrontare con la serietà di un impegno di cui spesso non si può preventivare né la durata, né l’esito, ma da cui non ci si può sottrarre una volta che lo si è assunto.
[Foto di Giacomo Bindi]
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