POPOLO O COMUNITÀ

di Vincenzo Pipitone

Valori e fragilità, sotto la stessa tenda

Se dovessi definire chi sono, non riuscirei a farlo se non in relazione con l’altro: la persona non si definisce mai da sola. L’altro chi? Chiunque, tutti. Sono un buon figlio se lo sono per i miei genitori, un buon marito se lo sono per mia moglie, un buon padre se lo sono per i miei figli, un buon capo se lo sono per… tanti. Eh già… il capo («termine di solo servizio», ha detto il cardinale Zuppi alla #RN24) non tale è solo in relazione a chi educa, ma anche nella cura dei rapporti con gli adulti, con l’associazione tutta, con il proprio Paese, con la Chiesa. Il capo è colui che vive, in un certo senso, relazioni complesse, problematiche. No, non stiamo parlando di relazioni sentimentali; anzi, sì! È nella stabile condivisione con tutti che alleno l’amore per il creato e le sue creature. Il capo si definisce solo nell’incontro con il volto dell’altro, occhi negli occhi, e ciò impone responsabilità, apertura, un certo impegno.

In questo incontro diventiamo poi popolo, attraverso un turnover di rinunce e cooperazioni. Popolo è una parola che mette ansia. La memoria ci insegna che spesso nasconde qualcosa di assolutistico: mescola tutti, piccoli e grandi, poveri e ricchi, i deboli e l’élite; altre volte esclude. Il suo significato è “folla”, ma anche “comunità definita, riunita, messa insieme da un’identità collettiva”. Tuttavia, la storia ci insegna che le visioni radicali a “difesa” del popolo espellono dal sistema chi non appartiene a quella identità o non riconosce principi e valori per lo più condivisi. Quindi forse meglio parlare di comunità, lì dove la piena realizzazione di noi stessi avviene attraverso l’incontro con gli altri in un cammino coinvolgente, pur nelle diversità: «Il frutto della felicità è la relazione costante resiliente che si fa strada insieme a me e in chi incontro», come scritto su uno dei post it raccolti a Villa Buri.

Spirito e comunità, dunque: da un lato i valori verso cui tendere, dall’altro le nostre fragilità, tutti sotto la stessa tenda: «Solo insieme si rinsalda il patto di alleanza che rende un solo popolo capace di vivere la promessa» (ancora il Cardinale Zuppi). Sentirsi parte di una comunità dà un senso diverso al servizio, facilita il cammino, incoraggia a prenderci cura del benessere di tutti.

A questo punto occorre chiedersi se la Route Nazionale ha restituito quest’immagine di capo e di comunità. Se siamo comunità o massa: coscienti di partecipare attivamente alla vita della realtà in cui siamo immersi, o collettività disorganizzata e apatica. Se essere giovani, talvolta incostanti e con eccessiva vitalità (per usare un eufemismo), specie in alcune parti d’Italia, e anziani, talvolta troppo compassati (per usare altra espressione attenuata), in particolare in altre parti del Paese, ci rende comunità. E infine se vivere certe contraddizioni con la legge, la Promessa, ci restituisce l’idea di popolo.

Alle belle parole, a modesto avviso di chi scrive, occorre aggiungere un po’ di sano pragmatismo, altrimenti corriamo il rischio di non comprenderci. A volte la viva sensazione è quella di vedere ma non volere guardare, non perché siamo buoni, ma perché è comodo, correndo il rischio, denunciato dal cardinale Zuppi, di “una frammentazione” del noi. A me pare che a volte il “noi” è un po’ sofferente. Nulla di impraticabile, intendiamoci; occorre un po’ più di attenzione, cura, «non siamo solo le nostre contraddizioni, ma siamo anche le nostre contraddizioni» (Donatella Mela, già Capo Guida). Occorre forse allenare ancora di più lo sguardo su cosa davvero siamo e cosa cerchiamo; indirizzare lo sguardo verso il Maestro che in cammino con noi interpella su quale Regno desideriamo. A Papa Francesco fu chiesto «Qual è la legge del Popolo di Dio?». «È la legge dell’amore, amore a Dio e amore al prossimo…. un amore, però, che non è sterile sentimentalismo o qualcosa di vago, ma che è il riconoscere Dio come unico Signore della vita e, allo stesso tempo, l’accogliere l’altro come vero fratello, superando divisioni, rivalità, incomprensioni, egoismi».
Sia chiaro, la responsabilità resta principalmente sulle spalle delle Comunità capi: a noi solo il dovere di sollevare un po’ la polvere!

[Foto di Andrea Pellegrini]

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