Ciò che creava stupore in coloro che incontravano Gesù era il fatto che le sue parole venivano incarnate in determinati gesti e che i suoi gesti rimandavano a parole forti; Gesù era seguito (ed è tuttora seguito!) perché è coerente tra ciò che diceva e faceva.
Se c’è una cosa che non può mai mancare nella vita scout, è la parola concretezza. Spesso, infatti, accade di trovarci in quelle situazioni in cui dentro di noi affiora questo pensiero: “Ma non saranno solo parole quelle che stiamo dicendo?”. È fondamentale essere concreti per lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato.
Ecco che allora è tracciata la strada per ogni scout di qualsiasi età e regione: coerenza e concretezza, anche nell’ambito fede.
Non si può generalizzare: ogni gruppo scout è l’espressione di un territorio e di una comunità cristiana. E poi ogni uomo e ogni donna ha il suo carattere e la sua peculiarità. È importante, quindi, avere dei criteri comuni ed è fondamentale incarnarsi nella realtà dove si vive.
Lo scautismo ha tanto da donare alla comunità cristiana e alla parrocchia, ma è altrettanto vero che ha tanto da ricevere: è uno scambio reciproco. Non ci si deve uniformare o essere tutti uguali ma, mantenendo le proprie specificità, arricchirsi a vicenda.
È ovvio che per agire così non si può rimanere chiusi nelle proprie sedi e nemmeno essere statici nel “si è sempre fatto così”: ci vuole fantasia! Perché i lupetti o le cocci non possono prestare il servizio liturgico una volta ogni tanto alle Messe parrocchiali? Perché l’alta squadriglia non può animare un pomeriggio con i ragazzi dell’oratorio estivo? Perché un rover o una scolta non possono far servizio alla mensa della caritas parrocchiale o mettersi a disposizione per la segreteria della parrocchia? Perché un capo scout non può diventare padrino o madrina nella celebrazione del Battesimo o della Cresima?
Anche la parrocchia e i sacerdoti devono muoversi in questo senso nei confronti degli scout: non ci può essere coinvolgimento solo per servizi concreti (indispensabili e preziosissimi). C’è bisogno di coraggio e fiducia nel chiedere ai Gruppi scout e alle comunità capi qualcosa di più: collaborare nell’equipe della catechesi, nella gestione del centro giovanile e, perché no, nel consiglio pastorale e nel consiglio affari economici ad esempio.
Noi preti dovremmo fare una “piccola conversione”: non possiamo considerare gli scout come una “longa manus” per fare quelle cose che noi non riusciamo a fare o che a loro riescono meglio, ma dobbiamo considerarli parte attiva nel compito di evangelizzare.
I capi poi dovrebbero sempre più maturare un senso ecclesiale coltivando un rapporto a tu per tu con i propri preti e magari trovando un padre spirituale per crescere nella fede.
È una bella sfida, per tutti: ma forse è proprio questo quello che serve per recuperare slancio, coerenza e concretezza.
Buona strada!
Don Luca Masin Assistente regionale del Veneto
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