LA RICETTA DELLA FELICITÀ

di Oscar Logoteta

Quell’armonia fra impegno e Vangelo

Gli occhi sono un po’ lucidi, parla lento. Guarda il vuoto, ha lo sguardo tipico di chi sta ricordando qualcosa di dolce che però non c’è più. Salvatore Cuoci, presidente del comitato Don Peppe Diana, non ci fa un ritratto edulcorato di Don Peppe Diana, non ci descrive il santo, e neanche il martire. Con un mezzo sorriso ci dice questa frase – era uno che non te le mandava a dire, che se c’era da litigare, litigava.

Subito alla mente mi torna la frase di qualche anno fa di papa Bergoglio, dove esortava tutti a “tornare a litigare bene”.

Don Peppe, ci dice Salvatore, era uno che non rifuggiva il conflitto, anzi, lo viveva, in pieno, ma – e gli occhi sono sempre più lucidi e la voce sempre più rotta – non provava rancore. Non sapeva cosa fosse. Il suo era amore puro.

In questo concetto di amore puro, ci vedo tutta la vita di don Peppe Diana.

Oggi come non mai avremmo tanto bisogno di persone che non abbiano paura di rifuggire il conflitto: viviamo un’apatia che ci porta a quella che la sociologa Noelle-Neumann ha teorizzato come spirale del silenzio. Il concetto è molto semplice: per paura di un eventuale conflitto, il nostro pensiero, magari di minoranza, rimane taciuto nei nostri pensieri e, anzi, spesso cambia per conformarsi al pensiero egemone.

Lo possiamo vivere magari nelle nostre Comunità capi, o nei Consigli di zona, ma provate a pensare uno come don Peppe in un paese, Casal di Principe, dove per l’opinione pubblica, essere “Casalesi”, non vuol dire essere abitanti di Casal di Principe ma essere camorristi.

Vivere la dimensione del conflitto “bene”, saperci stare senza nutrire e conservare rancore, permette a noi come individui e alle comunità che viviamo di crescere, migliorarsi, essere più efficaci ed efficienti.

Esempio: succede che il pensiero egemone all’interno di una Zona sia l’approccio burocratico funzionalistico dell’associazione? È diritto anzi dovere del capo e della capo di opporsi a tale egemonia con un pensiero antagonista – e con l’ingresso nel terzo settore dell’associazione, il mio esempio non è così astratto: il rischio di avere capi gruppo ragionieri e responsabili regionali commercialisti credo sia piuttosto reale – e forse già sta accadendo.

Insomma, vivere bene la dimensione del conflitto permetterebbe una riflessione pubblica reale in associazione e ci farebbe uscire dal clima pseudo-democratico nel quale ci siamo ingabbiati: votazioni da repubbliche sovietiche, elezioni di mono-candidati, comitati e consigli ostaggio dei soliti notabili, comunità capi guidate per lustri sempre dalle stesse persone.

Proviamo a fare un gioco?

Proviamo a contare nelle nostre Comunità capi, Consigli e Comitati di zona e Consigli e Comitati regionali quanti sono gli anni di quel capo o di quella capo che, magari cambiando sempre di ruolo per eludere l’aspetto legale dell’associazione, ricopre un posto lì; se state leggendo questo articolo sui social, nei commenti mettete semplicemente due numeri: il primo indica quante persone vi sono venute in mente, il secondo sarà la somma degli anni in quella sede tutto preceduto da #litighiAMObene. Esempio: #litighiAMObene 2, 21 (è reale, l’ho fatto pensando a due persone della mia Zona). Scatenatevi con i commenti!

Ma sì, certo, ridimensioniamo un po’ il tutto eh, affrontiamolo senza pesantezze nel cuore ma credo che per alcuni sia davvero valido il vecchio aforisma andreottiano.

Il tema vero è che dobbiamo sempre rispondere al seguente quesito: stare qui, ricoprire questo ruolo è per il bene dei nostri ragazzi e ragazze? Ai commenti, l’ardua sentenza.

Ma comunque, in quest’anno in cui l’AGESCI compie 50 anni e c’è la Route nazionale delle Comunità capi, ecco, credo questa possa essere una grande opportunità d’incontro soprattutto per i giovani capi che sono in grado di portare un pensiero nuovo, che sono portatori sani di grandi propositi per il futuro, che siano i protagonisti di generazioni e generazione di felicità.

Io, dopo essermi interrogato a lungo sul tema, sono arrivato alla forse banale conclusione che la felicità, per me – e dico per me perché è solo in parte universalizzabile – la felicità sta nell’armonia tra l’impegno pubblico e l’insieme delle virtù aristoteliche e delle beatitudini evangeliche, il tutto, all’interno del codice etico e morale delimitato dai vangeli.

Questi sono i miei ingredienti di felicità.

Questi sono gli ingredienti. Ma la ricetta? Quanti grammi di virtù? Quanto di impegno pubblico? Be’, se la sapete, per favore contattami e scrivetemi, ma credo che il vero bello di essere un capo e una capo AGESCI è che l’associazione ti dà l’opportunità di trovare quell’armonia: pensiamo alla formazione che facciamo, pensiamo alla politica che viviamo in associazione, pensiamo al nostro sforzo educativo con i nostri ragazzi e ragazze, ai nostri progetti del capo, alle arrabbiature, alle litigate, alla pazienza…

Ci ho messo un po’ a capirlo, ma stare in AGESCI, ti dà l’opportunità di essere in grado di scegliere di essere felice. Cara AGESCI, auguri per i tuoi 50 anni, ti voglio bene.

[Foto di Nicola Cavallotti]

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