Non c’è scautismo da fermi
«Ciao Aki».
«Ciao Baghee, hai già indossato la super camicia?»
«No, ora la metto per recuperare i miei baghee-poteri».
Chissà quante volte vestiti con queste camicie azzurre noi scout tiriamo fuori dei super-poteri! Forse passato un po’ di tempo dalla pandemia non ci pensiamo più, ma se i nostri ragazzi non portano oltremodo le ferite del Covid è perché probabilmente in quell’occasione come associazione abbiamo scelto l’azione: c’erano clan che portavano beni di prima necessità a chi non usciva ed era isolato, capi che inventavano tornei a squadre online per i più emotivamente fragili, incontri “clandestini” nei cortili dei palazzi pensati per super-vivere. Mi sovvengono nel ricordo 8 occhi felici associati a cuori che battevano forte al ritmo dei canti della Messa, e sorrisi che giuro foravano le mascherine. In staff di reparto avevamo deciso che era necessaria una scelta di coraggio, che dovevamo passare all’azione; dopo mesi trascorsi a capire cosa stesse accadendo, a fare orienteering nella pandemia, con antenne tese a capire cosa dicesse la politica, l’AGESCI, le nostre famiglie; in quello staff abbiamo deciso: basta paura, basta parole, ma scelte libere e sicure nella verità. E cosa era consentito fare durante il lockdown? Si poteva andare a Messa. Ecco la possibilità, l’unica. Allora noi l’abbiamo proposta con un mix di caparbia e adrenalina, sfidando le titubanze del parroco, delle famiglie, le nostre!
«Caro con.ca», disse il capo reparto in un comunicato morse trasferito con la massima urgenza, «i nostri corpi hanno bisogno di guardarsi dal vivo. STOP. Ne vale della salvezza dell’uomo-ragazzo. STOP. Se te la senti di partecipare prendi uno strumento musicale e il libretto dei canti e vieni a Messa ogni domenica alle 12. STOP. Noi ci saremo. STOP. Sempre. STOP».
Ed eccoli là gli 8 occhi, presenti i 4 capi squadriglia: chi aveva litigato con sua madre e sua madre con noi, chi aveva detto vado a correre da solo, chi denunciava un improvviso e irrefrenabile bisogno di Dio. Le domeniche a seguire poi si avvistava la presenza di altri E/G perché la cura stava portando i suoi frutti e circolavano foto di mascherine sorridenti, canti orrendamente suonati che tuonavano sul canale Youtube della parrocchia, occhi che guardandosi riacquistavano vita per i giorni a venire.
Ci diceva Nello, il fratello scout di don Peppe Diana, quando lo abbiamo incontrato a Casale: «Gli scout li riconosci perché sono politici per forza, per scelta; sono cristiani per forza, per scelta». Mentre lui lo affermava convinto io mi sono chiesta: ma lo siamo davvero? Forse sì, lo siamo stati: abbiamo resistito alla pandemia e siamo stati una delle pochissime associazioni a farlo, e prima ancora randagi abbiamo resistito al fascismo, siamo una famiglia che fa scudo intorno alla famiglia di don Peppe; ma per tirare fuori la testa, impugnare le armi del bene dobbiamo immergerci sempre più profondamente nelle nostre scelte, far danzare in noi il Patto Associativo. Siamo in Italia più di 180 mila, un enorme potenziale di cambiamento.
Sentiamocelo fino in fondo che siamo dalla parte della pace, degli ultimi, della legalità, della sostanza e non della forma, nella poesia di don Tonino Bello, nell’irriverenza di don Lorenzo Milani, nella denuncia di don Pino Puglisi e di don Peppe Diana, nella verità di Ilaria Salis, di Giulio Regeni. I super poteri dell’uniforme, svegliamoli! Dobbiamo essere visibili e in prima linea su ciò che ci sta a cuore, senza vergogna, dotati di carità ed armati di servizio. «In piedi costruttori di pace» lo grida forte don Tonino, basta staticità. Non c’è scautismo, non c’è educazione da fermi.
Essere partigiani per noi oggi significa abbandonare i vestiti da insegnanti, i video, i format da meri informatori sulla vita che ci sta attorno e ci tocca; basta riunioni seduti con cartelloni, meeting con esperti, prendiamo le distanze da questo mondo e modus di opinionisti; i ragazzi sono ormai pieni di queste offerte, ne sanno più di noi e, se pur non lo sanno, la differenza sta nel dinamismo del metodo scout. Penso alla potenza di un capitolo RS giocato e non seduto, quanto si dedica all’approfondimento e quanto all’azione?
Per essere felici davvero, per provare gioia profonda che provenga dalla nostra azione dobbiamo mettere l’uniforme per trasformare la narrazione in azione, perché solo se saliamo sui tetti possiamo riannunciare parole di vita, come diceva don Peppe.
[Foto di Andrea Pellegrini]
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