L’opera intitolata I primi passi si trova dal 1964 nel Metropolitan Museum of Art di New York. Vincent van Gogh la dipinse nel gennaio-febbraio del 1890, sei mesi prima di morire. La dipinse senza uscire di casa, “in confinamento”. Era ospite del fatiscente stabilimento di cure psichiatriche di Saint-Rémy, nel Sud della Francia. Aveva 37 anni.
Nato nel Sud dell’Olanda nel 1853, figlio di un pastore protestante, Van Gogh trascorre la sua giovinezza acceso da un fervore religioso quasi mistico. Sarà un “predicatore itinerante” nelle borgate proletarie dell’Inghilterra e del Belgio, volendo imitare san Paolo e san Francesco. Fu suo fratello Theo che lo incoraggiò a incanalare verso la pittura il suo desiderio di annunciare il Vangelo.
Poche volte Van Gogh sceglierà dei temi esplicitamente religiosi. Ma in pochi anni l’evoluzione del suo pennello fa della sua pittura una “trasfigurazione” del reale. Le scene più umili e quotidiane diventano una vera e propria meditazione appassionata. Come nel caso del quadro I primi passi, ispirato da un quadro del pittore francese Millet di cui suo fratello Theo gli aveva mandato una foto.
In questo quadro apparentemente così semplice, proprio perché così semplice, emerge la grammatica fondamentale della vita. I due genitori sono dipinti col blu con cui Van Gogh rappresenta il cielo. Essi sono l’origine della vita, la “maternità di Dio”, e il suo compimento, l’abbraccio del padre che ama e aspetta.
In mezzo c’è la vita. Tutta la vita. Il cui simbolo principale, come ha imparato Vincent nella Bibbia fin da Abramo, è il camminare. I primi passi di un bimbo dicono quanto il “camminare” sia rischiosissimo. Ogni passo è uno squilibrio, fra due brevi momenti di equilibrio. E ogni passo potrebbe concludersi con una caduta dolorosa. Imparare a camminare è imparare a non avere paura dei propri squilibri, ma trasformarli in passi in avanti. La paura di cadere è superata dal desiderio innato di raggiungere il padre. Questo desiderio fortissimo è reso nel quadro con le mani tese del bambino. Esse riecheggiano le mani del padre. La vita è un’attrazione invincibile fra due desideri che un giorno si abbracceranno. E questo desiderio si chiama anche fiducia, altro nome della fede.
La bimba dovrà attraversare un campo coltivato che è immagine di se stessa. Ci potranno essere anche delle “piante infuocate” come la macchia rossa a sinistra della bimba. Alla fine del suo cammino c’è un fosso, cioè un limite. Il limite di ogni vita: la morte. Ma le mani del padre sono rappresentate lì, pronte a fare da ponte, a non lasciare cadere la bimba, ma a far coincidere l’ultimo passo con l’abbraccio.
Dietro alla mamma, la casa rotonda richiama il grembo originario. “Casa” che dobbiamo lasciare quando nasciamo e quando cresciamo, cioè quando continuiamo a nascere. E in questa casa c’è una finestra, seminascosta dagli alberi. Finestra che è il quadro stesso. Finestra da dove Van Gogh seminascosto guarda il mondo. Quello reale fuori dalla sua casa di cura di Saint-Rémy, ma anche quello ormai perso nella memoria della sua infanzia, o che Van Gogh immagina pensando a suo nipote che sta per nascere e che si chiamerà anche lui Vincent. Questi farà appena in tempo a lasciare il grembo materno che l’altro Vincent sarà già arrivato al fosso. Suicidato, ucciso, non si sa bene, ma sicuramente nelle braccia del Padre.
Jean-Paul Hernandez SJ presenta in esclusiva per noi capi la teologia dell’arte, guarda il video
Jean-Paul Hernandez SJ
Fondatore dell’associazione giovanile Pietre Vive per l’annuncio di Gesù Cristo attraverso l’arte
2 Commenti a "i primi passi, di Van Gogh"
Giampaolo bernabini 1 Marzo 2023 (20:02)
Bellissimo il quadro, grande l’umiltà di van goog che copia e ricopia Millet. Molto appropriato il commento . Lo utilizzo per incontri .
Lirenzo 16 Agosto 2023 (12:34)
Il quadro appartenne agli Oppenheimer
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