GRAMMATICA DI UN CAPOLAVORO

di Anica Casetta

Le “regole” per costruire il meglio di noi

Erano le tre e mezza di un pomeriggio piuttosto caldo fra le strutture dell’oratorio, quando papà Marco, dopo essersi svegliato dal suo riposo diurno, accompagnò i suoi cuccioli, agitati e rumorosi, alle soglie della tana e si accorse che la targa di legno appesa fuori recitava “Bottega di felicità”. Tra lo stupefatto e il perplesso, fece appena in tempo a salutare i suoi cuccioli con il consueto «È ora di andare a caccia», che un capo dal camice consunto, le mani callose e gli occhiali sul naso aprì la porta e con un sorriso eloquente fece cenno ai cuccioli di entrare. Ora si poteva iniziare!
C’era chi ostinatamente provava a legarsi le scarpe seguito da un cultore della materia, chi con concentrazione ed emozione ripeteva la Promessa pronto a recitarla davanti ai vecchi lupi e non solo, chi cercava con lo sguardo i suoi sestiglieri per controllare che tutti fossero presenti, chi cantava con un filo di voce ai suoi due amici la canzone da insegnare al branco. Insomma erano tutti al lavoro, tutti intenti a realizzare il proprio capolavoro.
Un capolavoro addirittura? Non stiamo esagerando?
Mettiamola allora così. Li vedo tutti impegnati nello spendersi in qualcosa che sta loro a cuore, scorgo in ognuno la volontà di essere il meglio di sé, percepisco la tensione a farsi nuovi, anche solo per una piccolissima parte, a percorrere un pezzettino di strada per la felicità. Perché se scelgo di dare del mio meglio in qualcosa a cui tengo, ho deciso non di sostare, ma di andare! Postilla: non ho notato nessuno completamente solo nell’affrontare questi piccoli passi.
E quelli con il camice consunto?
Quegli strappi e quelle macchie sul camice sono lì a testimoniare la loro consapevolezza che la condizione di felicità è una scelta operosa, viva, che rimette in gioco quotidianamente.
Quelle mani callose, abili dispensatrici di gesti interrotti, sono lì per accompagnare, per iniziare insieme e poi lasciare spazio all’autonomia, sono capaci di attesa di un completamento originale da parte dell’altro che può essere diverso da quanto pensato perché qui subentra la scelta dell’altro, seppure piccolo, seppure inesperto. Quelle mani callose possono avviare alla costruzione della propria felicità e accettano il limite della propria azione.
Quegli occhiali sono lì a sostenere uno sguardo lungo proteso al futuro profetico e sognante e uno sguardo largo volto all’altro, allenato a riconoscere capolavori, piccoli e intimi passaggi.
Cosa accomuna tutti coloro che si adoperano in questa bottega?
L’essere artigiani del proprio futuro e della propria felicità, il continuo lavoro di ricerca, di cura, di attenzione ai particolari, di valorizzazione della propria e altrui unicità. La consapevolezza del proprio limite che con qualcuno accanto diventa apertura a infinite possibilità.
Allora forse non è esagerato parlare di capolavoro se lo si considera nella sua accezione “artigianale”. Era l’opera che permetteva di dimostrare la propria competenza e che segnava quindi il completamento di ognuna delle fasi della formazione dell’artigiano. Non doveva essere un’opera perfetta, ma la migliore che gli riusciva in quel momento.
Entriamo nel dettaglio, analizziamo a fondo quest’ultimo pensiero per capire se può realmente funzionare.
Il: articolo determinativo, che indica proprio quello, nessun altro capolavoro, ma il suo;
capolavoro: sostantivo singolare, unico, composto da dedizione e competenza;
è: voce del verbo essere, modo indicativo, tempo presente, verbo di presenza, di concretezza, di essenza;
la: articolo determinativo, che indica proprio quell’opera lì, nient’altro;
migliore: aggettivo qualificativo di grado comparativo di maggioranza, possiede qualità in misura maggiore rispetto a un’altra;
opera: nome di cosa ispirata al vero, al buono e al bello;
che: la quale, sempre lei;
gli/le: a lui, a lei;
riesce: voce del verbo riuscire, verbo di applicazione, di volontà, di ricerca;
in: preposizione semplice, ma che ci introduce al dove e al quando;
quel: aggettivo dimostrativo che indica un momento più o meno distante nel tempo, a seconda dei tempi di ognuno;

momento: nome di cosa comune, frequente, ma ognuno dei quali si rivela importante, a volte fondamentale.

Capolavoro è il meglio di noi che possiamo realizzare. Il capolavoro non è superlativo e la felicità non è perfezione. Le lupette e i lupetti hanno già chiara la strada: fare del proprio meglio per quello a cui si tiene. E noi? E noi sappiamo che l’autoeducazione è la via per la realizzazione, che dobbiamo essere i primi a procedere per piccoli capolavori per poter andare oltre noi stessi e accompagnare gli altri verso le loro infinite possibilità, anche quelle da noi mai immaginate in bottega.

[Foto di Pietro Favaretto]

Nessun commento a "GRAMMATICA DI UN CAPOLAVORO"

    Rispondi

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

    I commenti sono moderati.
    La moderazione potrà avvenire in orario di ufficio dal lunedì al venerdì.
    La moderazione non è immediata.
    I tuoi dati personali, che hai fornito spontaneamente, verranno utilizzati solo ed esclusivamente per la pubblicazione del tuo commento.