Funziono dunque sono?

di Ruggero Mariani

Oggi come non mai siamo immersi in un mondo in cui anche gli uomini e le donne “funzionano” come ingranaggi di un grande sistema. C’è solo una via d’uscita per non perderci con i nostri ragazzi nel funzionalismo: l’amore.

 

In un recentissimo saggio dal titolo “L’etica del viandante” (Feltrinelli, 2023), il professor Umberto Galimberti denuncia come sia in crisi il modello della nostra complessa società occidentale – ormai caratterizzata ed essenzialmente governata dal dominio della tecnica – e come tale modello rappresenti un umanesimo senza futuro, già da altri descritto non più come una promessa, ma come una minaccia.

Secondo l’autore, l’età della tecnica nella quale viviamo non ha fini (se non quello di implementare se stessa), non tende a uno scopo, non dà una direzione, non apre scenari di salvezza, né svela la verità: la tecnica, banalmente, funziona. Il mondo è oggi regolato dal fare come pura produzione di risultati, unito a un nichilismo sotteso all’economia di mercato.

Sono difatti venuti meno “i perché”, ovvero quegli orizzonti di senso che aiutano a muoverci, a orientarci in una complessità che sembra si riduca sempre più al codice binario di un algoritmo.

Galimberti non si meraviglia di fronte alla domanda di uno studente che chiede a cosa serva studiare greco, latino o filosofia: “Questa domanda segnala che la logica algoritmica è già diventata mentalità diffusa. E per effetto di questa mentalità, la scuola, invece di essere una scuola di formazione della persona, diventa una scuola di apprendimento di competenze. Non più una scuola al servizio del sapere che ha in sé stesso il proprio fine come realizzazione ed emancipazione della condizione umana, ma una scuola al servizio delle richieste dell’economia. […] Dunque, che cosa significa funzionare? Acquisire le competenze utili alla vita adulta che, per noi occidentali, è regolata dall’economia che detta le leggi alla politica”. Ne consegue che la tecnica, ovvero la cultura algoritmica, sta sostituendo la persona, cioè l’individuo protagonista delle proprie scelte e delle proprie azioni, con un profilo dei suoi comportamenti, dei suoi interessi o desideri, funzionale per rispondere all’efficienza economica e al consenso politico.

È un’analisi davvero impietosa della nostra civiltà e mi domando – quasi arreso – se sia davvero questa l’idea di “non-futuro” che come adulti stiamo consegnando ai nostri ragazzi; mi chiedo quali aspettative abbiano realmente, quali sogni possiedano, crescendo – tra orizzonti negati o affogati – nell’efficientismo e nel funzionalismo appena descritti.

Ma qualche giorno fa è arrivato Filippo, un esploratore del secondo anno, e mi ha chiesto con il suo timido fare scanzonato di poter essere il suo padrino di Cresima. E la risposta alle mie domande è arrivata da sé. 

Dipende da quanto amore ci mettiamo. La tecnica non ama, noi sì (banale dirlo?). 

Dipende da quanto amore ci mettiamo nello stare accanto a loro, per essere realmente, con tutte le nostre mancanze e fragilità, quel modello concreto di fratello/sorella maggiore, capace di accompagnarli a disegnare le proprie mappe esistenziali per muoversi nel futuro che vorranno costruire, dando un nome e un senso alle cose. 

Dipende da quanto amore ci mettiamo nell’aiutarli e finalmente nel vederli fiorire nelle loro capacità, nelle loro avventure piccole e grandi. Con il desiderio che possano vivere una vita “bella”, piena, marcata da scelte che siano forti. E non c’è algoritmo funzionale che tenga. 

 

[Foto di Arianna Albergamo]

 

 

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